4 amici
Eterni, inossidabili, sempre più attempati, anche l’edizione marina 2018 vede in prima fila, i soliti quattro amici, fantasticfour al bar. C’ è l’amicone per eccellenza, il paoli che minaccia di molestare tanto quando lo quereleranno sarà già morto; irretito e indignato l’amendolone che da doppiatore in d’attore alfin si fece commentatore politico e de costume, sentendo i baristi allontanare i vu’ cumprà al ritmo di vai ad affogare in mare anche tu; lo vorrebbe sostenere l’amica animalista che però riferendosi agli annegati inutilmente aggrappati a gabbie per l’allevamento dei tonni, piange le sorti dei pinnuti. Il papagianni esplode tirando fuori la fiction Lampedusa, quella bella occasione mancata d’operetta molesta, ed invoca il “disubbidite a questo ministro, che vuole fare annegà le persone“. A tutti viene la stessa idea, ci vorrebbero proprio degli affogati, giusto per sputtanare i nuovi vincitori. E tutti ordinano lì in riva al mare gli affogati al caffè.
affogato al caffè
A chi non piace l’affogato al caffè? Trasversale per sapori e sensazioni, generi e razzie di pietanza ma anche di bevanda, trasversale ai piccini senza tema di diabete ed alle suggestioni da adulti consenzienti; mare celeste di frappè al lime dove dondolano pandispagna e biscotto sbrisolone stabilizzati dal gelo che li ricopre; oppure sotto una cascata di nero liquido fumante, l’affogato per antonomasia, appunto, si scioglie piano piano, preferibilmente di notte, nei fumi calorosi alcoolici delle correzioni alla sambuca, al brandy ed alla sangria, al ponce, al limuncell maltese, al grandmarnier, all’ouzo ma anche all’amaro del carabiniere…
Sul porticciolo corrono i camerieri con gli affogati; pance obese, arnesi che hanno già dato e che si contentano di guardare, teste canute si godono sole e brezza sotto i tendoni di fronte allo scintillare dei bianchi yacht, dei 30 metri, delle gazzelle di capitaneria, delle ferrate navi militari, dei grossolani mercantili; meno rozze fluttuano le navi delle ong di buona fattura cui solo gli striscioni dedicati all’umanità danno l’aria di buone case signorili occupate. Miserrima in questo spettacolo multicolore che si erge a barriera di fronte al mare resta, come ai tempi del Verga, la barcaccia dei pescatori, unica che sembra con il mare doverci vivere e sopravvivere.
Affriche
Mezzo secolo fa, l’Italia cacciata a forza da tutte le Affriche, anche da quelle di più lontana memoria, fondachi semiequatoriali dalla parlata genovese, un’Italia timida e tremebonda accolse felice l’incarico temporaneo di occuparsi, mandataria straordinaria, della Somalia. Era l’Italia di Nigrizia e dei comboniani in sandaloni che andavano coraggiosi avamposti cristiani a portare il verbo nel continente nero. Era l’Italia del movimento di liberazione dei popoli e delle dottrine sabinecassese che frantumavano tutti i trattati e tutte le cannoniere a vantaggio di ogni rivolta, ogni moto, ogni rivendicazione che si fosse alzata nei villaggi dei tata e dei bantu. Il quarantottismo, l’indipendentismo, l’irredentismo, il mazzinianesimo sembravano un tutto con il moderno terzomondismo nell’unanime e confusa condanna di colonialismi e fascismi, i quali non erano stati affatto uguali, ché se i primi volevano dominare, i secondi alle paffute guanciotte caffè delle faccette nere volevano portare le meglio cose de l’Italia denoartri – il duce ed il re- e scusate se avevamo solo quelli. Prova del nove? I cattivi nazisti l’Affrica nella grande divisione del Welt, non se l’erano filata nemmeno per striscio. Invece, l’Italia poteva vantare, fin dal secolo precedente, di essere stata la prima, ed anche l’unica, nazione bianca battuta da eserciti affricani.
Pontecorvo ed i buoni bianchi
Mezzo secolo fa, Pontecorvo e i suoi fratelli tifavano per la Brigitte Bardot algerina nera che graziosamente lasciava la borsetta piena di tritolo in discoteca ed alzava l’epos di una sorella Bandiera di colore in faccia a piednoir fratelli collaborazionisti di Zinedì Zidane. L’Italia fantozziana si accostava con inferiorità ai due metri di pantera nera afroamericana senza neanche capire il dramma del Ragazzo Negro le cui disgrazie tutto sommato non raggiungevano la sfiga dell’N’toni siciliano. Emigravamo ancora in Africa all’epoca, capioperai, unici bianchi a parlare e mangiare con i neri. Quelli rimasti a casa, ingabbiati nei giochi intelligenti ’60, sognavano di diventare afrostregoni adorati da tante sedicenni seminude in nome del Ninìnuncelassà. Nelle canzonette si scherzava, ma neanche tanto con l’africano grande, bello, circondato da belve ferocied accanto a bellezze altissime, lune scandinave, cui guardava negli occhi; che ogni due passi faceva sei metri e si scambiava i baci più alti del mondo. Ce n’era l’esempio lampante per le vie di Vicenza, Pisa, Napoli dove marcantoni neri Usamarine ricordavano le frotte di neonati, creature dette Cire, nate nere com’acchè nel ribollire del Sud occupato. Usciti dalle case, o meglio dalle misere grotte della Piccolitalia siciliana a Tunisi, contenti per la figuraccia anglofrancese a Suez, che accomunava Londra e Parigi alla nostra impotenza, credevamo davvero alla revenge nera dei movimenti di liberazione ed ai suoi libretti verde, viola, lilla degli smith pensata ad hollywood sulla scia obamiana. Da neri fasci a negri bianchi, disponibili al punto da raccomandarsi come specialità culinaria, quando due esponenti della meglio genia attoriale italiana si immolava, a dimostrare quanto sono buoni i bianchi. I nostri 4 si gettano sul tifo nero, amarcord della negrofilia di gioventù; forza Camerun, Nigeria, Egitto; eppure in fondo ha vinto il Mondiale l’ensemble di congolesi, maliani e camerunesi.
Mamma li mori
Esiste però anche un’altra tradizione, atavica, da Pozzallo a Lampedusa, da Messina a Isola delle femmine, tra le curve delle spiagge, delle ragazze morbide, delle panze delle mamme e dei papà; la leggenda delle loro paure, delle fughe e dei risentimenti, il sentimento dell’odio per il male per secoli su queste coste portato dai mori, dai saracini, dai berberi, dalli turchi, da tutti i milioni di pirati che dall’africa vennero e fecero scempio delle carni belle impastate. Ora che sono solo baluba, fermi come i boemi di San Guido a fare guardia al bidone del taglio pizza, perchè li si deve chiamare migranti, quando i nonni sono stati sempre e solo per due secoli umilmente emigranti? Ma ora..ora E questi marmittoneri, per ukaz dei casti ricchi, delle donne racchie, vecchie e danarose devono essere chiamati migranti, come fossero avventuristi, fossero l’uomo pesce, Sandokan, Kammamuri, Mishima, Fandorin, TremalNaik, i thugs ed i daiachi di terra e di mare. ”Affogàti, affogati al caffè”.
Baluba
Il baluba, inopportuno, inutile, inspiegabile, non impara niente ed è qui da anni, sbuca, tutta una vita nel sacco deforme, come deus ex machina o meglio ex infero, ogniqualvolta non si sa da dove, dal tombino, dal fosso anzi da un tunnel vietnamita che segue e insegue per km pedone, ciclista e automobilista dovunque si trovi; impassibile resiste perché non capisce, culturalmente muto alla ripetitiva negazione, permanentemente scandita, nel mezzo della conversazione, nel mezzo dell’ordinazione, nel mezzo del corteggiamento, nel mezzo del litigio, che cerca di salvare dalla spicciola intrusione massiva centinaia di conversazioni, ordinazioni, corteggiamenti, litigi che valgono oro in un mondo di milioni di solitudini. Invece no, stavo per dire, un altro baluba ad interromperci, non lo chiamare così, perché come dovrei, non ti voglio più vedere, me l’hai fatta scappare, cosa offri ancora i fiori? Affogàti, affogati al caffè
No amore no gioia tra le sponde
In questi mesi a molti il mare, al solo guardarlo, dà alla testa. Per contro sulla prospettiva opposta, anche la terra colpisce duro in testa, quando è terraferma desiderata ed ambita, miraggio di sbarco sempre più improbabile. Colpite, affondate o atterrate, masse umane scrutano il reciproco sfochìo di macchie impressioniste lontane senza rispecchiarsi gli uni negli altri. Senza amore, chi sorbe tra labbro e lingua l’affogato al caffè, guarda e riguarda sperando pregando che all’orizzonte non ci sia più nulla, non la corvetta, non il mercantile, non il gommone. Senza gioia, presente solo con l’istinto di sopravvivenza, chi color caffè non è affogato sogna l’arrivo in un approdo deserto, colmo di viveri e d’acqua ma senza controlli, carte, quarantene. Non c’è amore, non c’è gioia tra le due sponde.
Tutt’intorno straripa
C’è un’ida fissa in quest’estate calda afosa che non dimentica due orette monsoniche di grandi venti e piogge oblique che sferzano gambe ignude ch’esse volevano abbronzare frustate e frustrate,. C’è nei centri estivi, negli uffici tutti uguali a se stessi dovunque essi siano, negli zozzi mercatini rionali, ai semafori della cattiveria maligna delle strade incidentate e bucate che nascondono di sottecchi e di sott’occhio il baratro che ti ingoia la moto, la radice gobbosa che ti strappa la giovane vita, la più bella e indimenticabile, quella che –stavorta ce frega. C’è in tutti e dappertutto una idea fissa, che non è la solita che nel belpaese smunto e rassegnato pure quella è scemata. L’idea è degna di un film horror, ci mancano solo le mandibole – Jaws- de lo Squalo ad affiorare tra gli affogati nel Mediterraneo, tanti, tutti, affogati al caffè.
Straripa, l’idea fin ora sommersa, trattenuta, a singhiozzi distribuita nell’intimità del salotto familiare. Ora esce non più timorosa, lava in piena, con l’arroganza del finalmente si può: affogàti, affogati al caffè. E’ il sooognò di Briaaatore, tante belle tonne nude attorno allo yacht in mare. Sogno più brutale, da tifosi incarogniti tra Firenze e Napoli, tanti chellini a fior d’acqua, tanto il nasone fa da ciambellone di salvataggio. Qui però non c’è salvataggio, c’è il Cecco che nelle acque tutto lo anniegherei, c’è il Dante che faccian siepe in su la foce sicchè gli annieghi ogni persona. C’è alla decimilionesima richiesta di dueuri che ti fan vincere anche te, ma cosa –li fan vedere sempre gonfi come palloncini, che gli vuoi gli faccia l’acqua a quei bimbini lì. Per una volta almeno il Tvleso si sentirebbe vincitore.
Segno
Perché sul muro è tracciato questo segno? Perché si è prodotto questo sogno? Che è un’idea fissa, macabra, meschina, vendicativa, rivoltante, rivoltosa, ributtante, ributtata e si è consolidata contando nel subconscio, giorno dopo giorno, tutti i due metri neri che fanno la guardia al bidone di benzina davanti la pizzeria al taglio, la merceria, la salumeria, il calzolaio, un garage, quel fondo- ma è disabitato!, un cespuglio, un androne di palazzo di uffici che entri da una parte e svicoli dall’altra; e non hai neanche girato l’angolo che ne hai contati dodici di questi pizzardoni neri con il mitico sacco, che chissà cosa contiene, forse benzine, poliatrine, sandali, ottoni, artigianato africano made original in china ma subbaltato in mongolia orientale.
E’ una colpa allora stare fisso da fesso tutto il giorno al portone senza neanche mimare le disgrazie immaginarie del falso invalido? Senza sviluppare le competenze da voileur da zingaretto? E’ una colpa essere dannato della terra, affamato, denutrito e affogato come lo fu la schiatta dei ‘Ntoni che emigrò a formare nel nuovo Mondo la loro mano nera? E’ una colpa se non hai neanche una mafia, camorra, ‘ndrangheta? Si lo è, è una colpa. Affogàti, affogati al caffè.
Segnaposto
Come i segnaposto a tavola quando è il compleanno del bimbo con gli amichetti o c’è la duchessa, il territorio è marchiato da questi sostituti dei falli romani che orgogliosamente e molto scorrettamente si facevano gloria e minaccia dei presenti e futuri ratti delle sabine. Ogni dieci metri c’è un marmittonero, un corazziere piantato d’ebano. Marchia il territorio ma senza forza. Implora, prega, supplica, chiede senza neanche l’arte della preghiera. Perché non sa parlare, non sa spiegare, non sa gesticolare, non sa imparare un gesto di grazia e di gentilezza. Biascica senza dignità per un diritto che ha sentito evocare e che non capisce e che cerca di carpire con goffa malagrazia. In preda al ribrezzo, gli italiani, questo più di tutto odiano e paventano; che l’inciviltà, l’aeducazione, il degrado, il muto ed il gesticolare d’animalità vincano, prevalgano, si facciano segno dell’ambiente collettivo, ripresi dai più giovani e dai più poveri in un tracollo dei comportamenti, ultime vestigia dell’italico essere. Affogàti, affogati al caffè
Marcantoni
Il presidente americano ha rotto le dighe, non si può perdere tempo ingiurie, polizie, giudici, prove, Mason e testimoni simply must be stoppedat the border, ma se dietro il border c’è il mare? Affogàti, affogati al caffè.
Terrorizzati, gli italiani, di fronte al marcantonero che non impara una parola, dobbiamo storpiarle noi, . guardano la sagoma profilata all’orizzonte; più che una sagoma, una caricatura che come arbitri di oggi, ripete var-var-var come i barbari dei greci. Non sa parlare, camminare, coprirsi, con buona pace dei Modì estimatori; Esplode in un’onomatopeica da savana e Mowgli, senza esse come quelle garbate. Le puttane ed i puttani che come il ragiunat hanno un’idea molto concreta delle cose, dei valori e dei costi senza temere condanne di razzismo o discriminazione hanno fissato il prezzo delle colleghe nere di dieci volte inferiore alla più brutta di loro, p’uranco zoppa. Sarebbe da farsi due matte risate, ma non si può; sarebbe come irridere un malato, beffare un down, prendere in giro un invalido, fare cianchetta ad uno zoppo. Eppure i marmittoni neri mica sono malati, anzi. Affogàti, Affogati al Caffè
Retropensiero da White nigger
In fondo gli italiani comuni vorrebbero accoglierli questi disgraziati, ma con la chiara coscienza della qualifica da disgraziati, senza neanche una concessione ad un dialogo paritetico. Venghino pure i marmittoni ma chiaro, con il ruolo di fantozzi. Che imparino a parlare da cristiani, a muoversi normali, senza sacchi, bidoni e cianfrusaglie, che studino a scuole di polizia o di mafia, è eguale; ma non ci vengano a parlare di proprie opinioni, propria cultura, propria storia, che tutto ciò evidentemente non esiste, è una fantasia. Basta guardarli, i disgraziati neri per capire che testimoniano di società fatiscenti, stati fallimentari, collettività disastrose.
Sembra una pretesa assurda di puro razzismo. Ed è invece la pretesa che in pochi anni se non mesi, i neri in Africa facciano il percorso centenario dei neri negli Usa, dove i Jackson, gli Smith, gli Obama hanno rappresentato il massimo del razzismo, il white nigger, il nero bianchizzato non solo nel linguaggio, nell’abito, nell’odore, nei gesti ma addirittura nelle ossa, nel profilo, nel colore della fisicità fisica.
Altrimenti, pensano i fantasticfour al bar, lo vuole il popolo, lo chiede il popolo, lo vota il popolo, …….. Affogàti, Affogati al Caffè
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.