Se un ladro muore

Attualità

Dice un vecchio inno, Vecchia piccola borghesia, sei contenta se un ladro muore.

La piccola borghesia vede il ladro albanese ancora incappucciato morto ed è contenta. Anche quel che era il popolo, accomunato oramai nei comportamenti e nei pensieri di una vasta melassa piccolo borghese, guarda con soddisfazione. La grande borghesia scuote la testa con rammarico, lontana comunque dalla vicenda, protetta dai sistemi di videosorveglianza, dalle scorte e dalle assicurazioni che le rendono profittevoli anche le perdite il cui uso è evidente ma la cui proprietà è variamente e fantasticamente distribuita geograficamente e qualificatamente. L’unico vero proletariato, quello straniero, non fa una piega proveniente da mondi dove il bastone picchia duro per chi sgarra e si fa beccare, in una partita senza pietà d’ambo le parti.

Ora con il corretto bilancino dello stato di diritto misurerà se l’azione repressiva, divenuta mortale, sia stata bilanciata all’azione antagonista e violenta, se il linguaggio del corpo sia stato esplicito, se i gradi di violenza dei diversi momenti siano acquisibili ad un tutto unico o siano rimasti sostanzialmente divisi senza raggiungere l’acme previsto da tabella, se le distanze visive o auditive non siano state né troppo, né poco adeguate; se il grado di paura del derubato sia stato sufficiente per età, costituzione fisica, genere e studi; e se viceversa il percorso delinquenziale del mancato imputato giudicato definitivamente dalle vittime e dai tutelanti pubblici e privati dell’ordine, sia recidivo e reiterato e se la reiterazione dell’atto criminale non sia opus necessario alla sussistenza dei membri familiari o meno, do  dipendeva da. quali siano per numero e tipo.

Estesa e popolare borghesia, sei contenta, dopo 12 ore passate in piedi a fare l’esattore di accise per Lottomatica, il Monopolio e lo Stato, a ritirare, sempre conto terzi, tutti i segreti della privacy personale, dal numero di telefono al codice fiscale e l’indirizzo, di non finire su una sedia a rotelle, o di restare ammazzata da uno entrato con la pistola, e non ti dispiace se invece il peggio, anche estremo, tocca al ladro.

L’autore della canzone, Claudio Lolli, che fu vero poeta disincantato ed autoironico, la voce pensante delle rivolte sognanti e violente del ’77, in continuo combattimento con il club Tenco, che essendo di sinistra fazista non l’invitava, è venuto meno proprio quest’anno, insieme agli Aznavour ed ai Kobzon,  commemorato dai suoi studenti bolognesi, intelligenti e per bene.

Come è tradizione, i cantautori della rivolta sociale sono finiti quasi tutti a fare i professori di liceo con una cattedra da cui sprigionare con onestà intellettuale le ragioni, i motivi, le evoluzioni che hanno portato le società a rivoltarsi, sbattersi, progredire, conformarsi, ritirarsi su stesse. Ora che la scuola è immersa nella lotta di tutti contro tutti in nome di chi è più precario, manca la calma per farne uscire cantautori. Anzi, i professori hanno grande difficoltà a non farsi pestare dagli studenti o dai loro genitori, ad evitare mobbing di entrambe le categorie sui social, e di evitare reazioni inconsulte che potrebbe fare scatenare il bilancino di cui sopra anche nei loro confronti. I presidi, scoraggianti, suggeriscono di non esasperare gli animi.

I professori, cantautori in pectore, uscendo dalla presidenza, pensano ai santi, si fanno gli scongiuri, ed ora, che sono nella stessa barca di commessi, tabaccai e benzinai, l’augurano senza pietà ed ipocrisia. Il furto e la violenza non sono più espressioni di malessere sociale o lotta di classe. Sono forme di tentato guadagno a scapito altrui. La reazione sicura è un avviso, se non la salvezza del ladro (o violento).

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