Poche settimane or sono, la Corte costituzionale ha depositato la sentenza numero 194 del 2018 recante la pronuncia d’incostituzionalità dell’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23 del 2015, che prevedeva (il passato è d’obbligo) il meccanismo sanzionatorio – in caso di illegittimità del licenziamento – del pagamento da parte del datore di lavoro di un’indennità di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione utile ai fini del TFR per ogni anno di servizio.
Una lettura attenta delle motivazioni di tale importante decisione suscita più di un interesse per il ragionamento logico-giuridico seguito dalla Consulta. La sentenza, infatti, si distingue per l’esaustività dell’analisi effettuata dei principi di rango costituzionale che connotano il nostro ordinamento giuslavoristico.
Anzitutto,vengono ricordati i contenuti precettivi degli articoli 4 e 35 della nostra Carta costituzionale in tema di diritto al lavoro e di tutela del lavoro in tutte le sue forme: la Corte si sofferma nel ricordare come in particolare il primo debba essere inteso come il diritto a non essere estromesso dal lavoro ingiustamente ovvero il diritto di non subire un licenziamento arbitrario, mentre la tutela del lavoro comporti quale logica conseguenza il principio della necessaria giustificazione del recesso datoriale. In sostanza, prosegue il ragionamento del Giudice delle leggi, i limiti posti da queste due norme costituzionali al potere di licenziare pongono rimedio al disequilibrio di fatto esistente tra le parti del contratto di lavoro subordinato.
Sotto diverso profilo, la Consulta riconosce tuttavia come la tutela del lavoratore nei casi di licenziamento illegittimo, quanto a tempi e modi, possa essere discrezionalmente attuata dal legislatore ordinario senza che il bilanciamento degli opposti interessi imponga un determinato regime di tutela. La Corte Costituzionale arriva persino a precisare che un meccanismo di tutela può essere di natura esclusivamente risarcitoria purché tale rispettoso del principio di ragionevolezza.
E allora per quale motivo- viene da chiedersi – il Jobs Act è stato dichiarato incostituzionale?
Perché il meccanismo di quantificazione previsto dall’art. 3, comma1, D.Lgs. 23/2015, interamente prestabilito dal legislatore in due mensilità per ogni anno di servizio, finisce per connotare tale indennità risarcitoria come assolutamente rigida, in quanto graduata sulla base della sola anzianità di servizio, e quindi inevitabilmente uniforme per tutti i lavoratori con la stessa anzianità.
Una tale uniformità assoluta, osserva la Consulta, assume le vesti di una liquidazione legale forfettizzata e standardizzata a fronte di un’illegittima estromissione, sì che la predeterminazione ivi prevista non è neppure incrementabile a fronte della prova di un pregiudizio ulteriore: evidente la volontà del legislatore, in ossequio al criterio direttivo della legge delega, di voler prevedere un indennizzo economico certo e immodificabile.
Ed è proprio qui, nell’ingiustificata omologazione di situazioni diverse, nel prestabilire interamente il quantum sulla base dell’unico parametro dell’anzianità di servizio, che la norma del Jobs Act contrasta con il principio di uguaglianza.
Atteso che è un dato di comune esperienza che il pregiudizio determinato da un licenziamento illegittimo possa e addirittura debba variare di caso in caso, il Giudice delle leggi ritiene che la tutela risarcitoria non possa essere ancorata ad un unico parametro che di fatto toglie al giudice ogni e qualsiasi possibilità di valutazione discrezionale nel dirimere la controversia.
Ed è esattamente sulla (assenza di) discrezionalità del giudice che la Corte Costituzionale appunta la propria critica alla norma: in un sistema equilibrato di tutele, bilanciato tra i valori dell’impresa e il diritto al lavoro, la discrezionalità del giudice risponde all’esigenza di personalizzazione del danno subìto dal lavoratore, imposta dal principio di uguaglianza. Infatti, la previsione di una misura risarcitoria uniforme e standardizzata si traduce in un’indebita omologazione di situazioni che possono essere e sono nei fatti differenti.
La mozione di sostanziale sfiducia effettuata dal legislatore del Jobs Act nei confronti dell’attività giurisdizionale viene dunque bocciata senza appello dalla Corte, rimettendo così al centro della scena la magistratura del lavoro e, con essa, anche gli avvocati giuslavoristi.
.Giovanni Costa, Avvocato in Milano
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