Quando le parole diventano suoni e poi fastidiosi echi senza significato, quelle parole sono l’evidenza del fallimento. Eppure molte volte la politica si è affidata alle parole e a chi dimostrava convinzione, determinazione, ma scriveva nell’acqua le illusioni con la retorica e la maestria di un attore impostato che recita ad effetto. Eppure il teatro dirompente, eclettico, molto cool di Renzi con la valanga di annunci e di promesse dovrebbe aver insegnato qualcosa. Il linguaggio era mediocre, i contenuti tutti da dimostrare, ma le parole ballavano con scioltezza un cha cha frenetico, inciampando rovinosamente in una realtà che da ostile divenne rifiuto. E non è sufficiente, caro Di Maio mettere il doppio petto alle 4 dichiarazione contraddittorie che la logorrea ti suggerisce. Ma con le parole il vicepremier ha costruito la fortunosa campagna elettorale e le bullesche fandonie di oggi. La gestualità e il sorriso furbastro sono i regali di un potere nepotista che non è sufficiente oggi a rassicurarlo. L’attivismo di Salvini lo relega in una continua rimonta, in una trattativa continua. No, non era così la campagna elettorale: bastava una tesi furba, specchio dei desideri popolari e tutto andava bene. Il Pinocchio Di Maio dice, si contraddice, rettifica, bisticcia, ma qualcuno si è accorto che le sue parole sono suoni. E, in tono minore, anche Salvini spara parole al vento. Un Governo, insomma di suoni.
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano