CorCom ha appena assunto una piena direzione al femminile e subito mette al centro, quale problema prioritario dell’era digitale, la discriminazione delle donne.
L’occasione è un report del World economic forum, allarmato per un nuovo rafforzarsi del gender gap, in termini di occupazione, redditi, welfare e partecipazione politica. Si tratta di uno di quei documenti e di una di quelle istituzioni fatti apposta per far imbufalire popoli e gilet, perché, in un dialogo tra sordi, i primi pongono l’accento su temi che ai secondi paiono secondari.
Cresce il numero di poveri, a prescindere dal sesso; crescono i disoccupati, di entrambi i sessi; e via dicendo. Corcom è un giornale on line di nicchia, specializzato sui temi digitali, tecnologici ed informatici; non fa sociologia, né direttamente politica. Il fatto che l’automazione aumenti la disoccupazione femminile è un dato che rientra nella diminuzione generale dei posti di lavoro dovuta all’intelligenza artificiale (AI) ma ne vengono impattati pesantemente molti settori di lavoro maschile mentre i servizi alla persona, tradizionalmente svolti dalle donne, sono ancora fra i meno toccati dal digitale. Vero che solo il 22% della forza lavoro nell’AI è femminile ma si tratta di un dato in linea con la presenza rosa nelle professioni tecnico-scientifiche dovuta alla reiterata e giustificata volontà delle donne stesse di non parteciparvi massivamente.
In realtà ogni occasione e luogo è buono per parlare di donna e della sua discriminazione, sempre con identica afflizione sul valore sprecato. L’obbiettivo è mettere tutti al lavoro, vecchio pallino degli iperproduttivisti, sia comunisti che capitalisti selvaggi; che non dovrebbe avere successo nella quarta rivoluzione industriale al contrario di quanto affermato dal Wef proprio per la possibilità reale, prima volta nella storia, di eliminare vasta parte dei lavori e mantenere solo quelli talentuosi.
Misure proattive per mettere tutte e tutti a lavorare evidentemente a minor reddito e peggiori condizioni sarebbero il contrario delle opportunità rivoluzionarie rese possibili dal digitale. Il dibattito mondiale sui redditi di cittadinanza, alla luce delle relative politiche già attive in alcuni paesi, cominciò un lustro fa date le promesse e le premesse del digitale. Finora però le straordinarie oppotunità del digitale non stanno andando, come possibile, verso la liberazione dal lavoro quanto verso la liberazione dell’economia dal peso delle necessità umane.
Ne è disceso un forte pessimismo ed ostilità per il digitale ed i discorsi che lo accompagnano, vuote ciance, senza crescita dei redditi e premi per il merito, sulla formazione e sulla crescita del lavoro femminile. E’ ormai noioso ed irritante sentirsi proporre temi e vie femminili nei progetti digitali come se solo occuparsi di questioni rosa o affrontare problemi delle donne fosse sinonimo di innovazione.
Nella mentalità generale occidentale è in corso la debacle della famiglia. Data la lunghezza media dell’aspettativa di vita, ci si appoggia ancora sul modello delle generazioni più anziane. Per il resto non è tanto più vero che la donna si occupi di figli, anziani e familiari. I paesi citati ad esempio, in termini di minor gender gap, l’Islanda, prima per il decimo anno consecutivo, Norvegia, Svezia, Finlandia, si basano su un welfare omnicomprensivo ad alta tassazione che le politiche digitali in genere scoraggiano. Il digitale promette la possibilità di sopravvivere nella solitudine da single, al di là dei sessi, grazie a macchine in rete. Buona notte al secchio del ruolo precipuo delle donne.
Il 2018 si chiude con donne al comando in Germania ed Uk, con donne leader nei partiti socialdemoicratico e pure nazista tedeschi, ed in tutta la destra europea; con una eurodeputata che ha fatto condannare il premier ungherese; e con una campagna iperaggressiva maccartista e bigotta che ha investito con estrema violenza il mondo del cinema e la politica, dopo la finanza, sull’assunto della violenza insita nei maschi. Inframmezzato, dall’esibizione, sul tappeto rosso di uno dei templi della cultura, della natura nuda da parte delle stesse starlette denuncianti. L’impatto della violenza femminile politica è arrivato al suo zenith, spesso con risultati strabilianti, spesso con una donna di potere che fa le scarpe ad un uomo di potere.
Ogni volta che il risultato non c’è, le donne gridano all’autoritarismo. Un motto significativo recita che non credere ad una donna significa calpestarla; enunciando il postulato del privilegio di una verità unilaterale nel quotidiano come nel potere. Le vittorie dei similTrump, in Brasile, con Bolsonaro, nelle Filippine con Duterte, in Ungheria con Orban, in Polonia, in Italia fanno parlare di un’ondata antifemminista ed antifemminile. Eppure le Filippine, dove la critica senatrice Leila de Lima è in carcere per traffico di stupefacenti, risulta un paese con le minori differenze di gender. Il Congresso Usa dove i democratici hanno portato agli ultimi midterm un numero impressionante di donne, ha il 23% di deputate sul totale molto meno del 31% della Camera italiana, considerata al ribasso. Si preferisce paragonare il 10% dell’Ungheria al 48% dell’Islandia, al 44% di Svezia, al 42% della Finlandia, al 40% della Norvegia.
Negli anni italiani di maggiore presenza e potere delle deputate e ministre, quelli di Berlusconi e Renzi, era una gara a chiamarle puttane in comizi incendiari; ed allora non c’era violenza alla donna. Ora sono tutte vittime delle rivoluzioni e reazioni maschili, la vicepresidente di Dutarte,Leni Robredo, la Boldrini, l’ex presidente brasiliana Dilma Rousseff , Nancy Pelosi, Hillary, l’accusatrice dell’aspirante giudice della Corte Suprema Christine Blasey Ford,la sorella dello Scià, la Fornero, addirittura anche la regina Maria Antonietta. La sconfitta elettorale è violenza; l’accusa giudiziaria è violenza. La democrazia è violenza.
Siamo passati dall’export democratico per imporre la mini ai musulmani, in nome della libertà della donna, al postulato manicheo profem antidemocratico. Dopo questo acme, è vero che si è formato, nella marea elettorale e di piazza antielite, uno zoccolo sospettoso delle donne e soprattutto delle donne di potere, che sbrigativamente viene definito di destra.L’uomo chiede in fondo chiarezza. Nessuno discute di come si voglia agghindare una donna. Se però lei può mostrare il sesso dall’8 marzo a Cannes, perchè deve essere arrestato quell’uomo che mostra il suo, come successo a Roma? Se libertà dei corpi deve essere, che sia reciproca. Se per amore del commercio viene sollecitata la vita sessuale delle anziane anche con baldi molto più giovani, non dovrebbe essere censurato il contrario.
La donna deve essere difesa dalle violenze, nella misura in cui queste avvengono, cioè infinitesimali. Le accuse di violenza non le devono dare vantaggi abnormi, nè li devono dare alle parti sostenenti. Se la donna non vuole figli non chieda asili nido, se lavora meno ore non chieda pari stipendio, se è contraria al matrimonio non ne faccia acquisizione indebita di beni, non pretenda aiuto se non può darlo nella preoccupazione di importuni e violenze, se trova occupazione in scuola, assistenze sociali, burocrazie, segreterie, polizie e controller, giornalismo, recupero crediti, comunicazione non si meravigli di restare fuori dai tecnicismi.
Le donne in ogni luogo hanno preso a ripetere di una loro presunta superiorità, in fondo dovuta alle attenzioni maschili che cambiano molto ad ogni latitudine per culture, idee, attitudini. Pupullano racconti, film, romanzi di amori lesbici, quasi divenuti una piattaforma di pensiero che si accompagna alle ultime campagne isteriche filofem.
Si accomodino, fanno montare l’onda del disinteresse, di cui sarà pieno il futuro digitale di single amorfi, il tempo della parità che dovrebbe avversarsi secondo il report tra 202 anni. La vittoria della donna che otterrà il massimo sarà la sua definitiva sconfitta.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.