Il turismo non può essere il nostro petrolio

Attualità

Per quanti anni l’abbiamo sentito ripetere come un mantra? Ah, se solo sfruttassimo le nostre bellezze, saremmo tutti ricchi. Era una fesseria, naturalmente. Ma qualcuno ci ha creduto davvero e ci ha provato. Solo che questo qualcuno era lo Stato, quindi non poteva che finire malissimo. E come tutti i finali tragici di questa nazione, è stato catalizzato da questa finanziaria, da questo Governo del Cambiamento, da questo momento di pre Apocalisse. Tre provvedimenti, in particolare, danno il senso a questa vicenda. L’omicidio di Uber, la decisione di blindare le spiagge demaniali e la web tax, che deve colpire i giganti del web. Tra cui anche quelli che veicolano il

turismo.

Non voglio andare troppo in profondità, spartendo torti e ragioni. E sapete perché? Perché sono tutti argomenti divisivi. La gente sta combattendo una guerra di religione, divisa tra lobby diverse. E chi ha vinto, chiaramente, senza possibilità di errore è sempre la stessa fazione. Chi aveva paura. Al governo di questo di paese ci sono due diverse paure, che hanno un forte punto in comune: il domani. La differenza tra conservatori e populisti è sempre stata questa: entrambi concordiamo sulle sfide del futuro, ma differiamo sull’approccio. Il conservatore sa che vincerà, perché le sue radici sono profonde. Il populiste teme fortemente che perderà quindi si lancia in provvedimenti estremi. Tanto che può succedere di peggio?

I populisti hanno vinto. Quindi l’Italia si sta chiudendo dentro. Non sta solo, giustamente, bloccando il flusso di clandestini. Sta sbattendo la porta in faccia al futuro. Sperando che trasformarsi in un museo a cielo aperto ci poterà non la ricchezza, a quella non crede e non la vuole, di fondo, più nessuno. No. La speranza è che ci porti pace, che lenisca la rabbia, che ci chiuda fuori da qualcosa che non capiamo. Quindi qui si girerà in taxi, non in Uber. Qui le spiagge non cambieranno di mano, magari finendo a degli stranieri. Saranno sempre più care, meno innovative e più vuote. Ma saranno nostre. Ed il turismo passerà per le agenzie di viaggio. Non su internet.

Volete un esempio? Sapete dove sia Trisulti? No? Non vi preoccupate, non siete i soli. Non lo sapeva nessuno. È un paese in provincia di Frosinone, dove c’è un’antica Certosa. Che sarebbe finita in rovina, se un privato non fosse arrivato strapagando il privilegio di farsi carico di tutte le spese per tenerla in piedi. 2 milioni, quando beni di questo genere fruttano solitamente zero e finiscono per costare, perché i gestori vengono comunque sussidiati. A Trisulti invece un privato paga per farci una scuola politica.

Ovviamente, essendo legata a Steve Bannon, partono le proteste. Il motivo è divertente. Esilarante. “Deve rimanere aperta e gratuita”. “Deve restare religiosa”. L’unico politicamente orientato è Frantoianni che là non ci vuole Bannon. Ci sta. Gli altri, però, ho la sensazione che non si stiano facendo strumentalizzare. Davvero sono convinti che un posto nei boschi a 900 metri, isolato, fatiscente, vada tenuto aperto con fondi pubblici ed in perdita. Piuttosto che darlo ad un privato. Qualsiasi privato. Che lo valorizzi. Che lo renda economicamente profittevole. Che ci faccia entrare il mondo. Che lo tolga ai locali.

Si chiude così il cerchio: il turismo è petrolio solo per le comunità aperte che sono così sicure delle proprie radici e del proprio passato, da non temere l’urto del futuro, ma anzi da monetizzarlo. Non è il nostro caso. Siamo un paese terrorizzato, perché le nostre radici ci hanno detto che sono malate, avvelenate. I segreti che non abbiamo saputo affrontare ci hanno roso l’anima. Ed ora il passato ci chiede il conto, ma non volendolo affrontare ce la prendiamo col futuro. In una sfida che nemmeno vogliamo vincere. Ci basta morire provando. Che, me lo consentirete, come obiettivo di massima affrontando un nemico non certo irresistibile è piuttosto triste.

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