La richiesta di un risarcimento milionario all’Arma dei Carabinieri, alla Presidenza del Consiglio e a tre Ministeri, avanzata da Giuseppe Gulotta, cittadino alcamese vittima di uno dei più gravi errori che hanno caratterizzato la storia giudiziaria del Paese sta facendo molto discutere in questi giorni. «Più che di errore dovrebbe parlarsi di ‘orrore’» sottolinea uno dei suoi legali, l’avv. Baldassare Lauria che, insieme al collega di Firenze, l’avv. Pardo Cellini, è riuscito ad ottenere la revisione del processo di condanna all’ergastolo. Giuseppe Gulotta ha trascorso in carcere 22 anni da innocente, «privato di oltre vent’anni della propria vita e di tutta la propria giovinezza». La Corte di Appello di Reggio Calabria «ha accertato – scrivono i legali – l’illegalità della sentenza di condanna, “gemmata” da una serie di gravissime violazioni di diritti umani, qualificabili in “torture”, ad opera dei carabinieri che hanno condotto le indagini” con lo scopo di “estorcere allo stesso la confessione (rivelatasi totalmente falsa nei contenuti) di aver concorso nell’omicidio dell’appuntato Salvatore Falcetta e del carabiniere Carmine Apuzzo avvenuto il 27 gennaio 1976». La “strage di Alcamo” oggi non ha ancora un colpevole, ma “lo Stato” ha molte vite distrutte sulla coscienza, sicché «la sentenza di revisione – sostengono gli avvocati – ha declarato come gli autori degli inqualificabili atti, l’allora Capitano Russo, “comandante della spedizione”, ed i carabinieri Di Bona Elio, Provenzano Giovanni, Scibilia Giuseppe e Pignatella Fiorino riservarono identico trattamento “estorsivo” agli altri fermati, fra i quali Vesco Giuseppe, Ferrantelli Vincenzo e Santangelo Gaetano, le cui chiamate in correità reciproche costituirono la piattaforma accusatoria nei confronti degli stessi». I reati che, secondo la ricostruzione, sarebbero stati commessi dai carabinieri sono oggi estinti per prescrizione e l’unico possibile ristoro di giustizia sembra essere quello economico. «La domanda è volta ad ottenere il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti da Giuseppe Gulotta in conseguenza degli atti di tortura e delle gravissime violazioni di diritti umani di cui si sono macchiati esponenti dell’Arma dei carabinieri». La somma, spiegano i legali, sarà interamente devoluta alla Fondazione Giuseppe Gulotta, voluta dalla vittima al fine di aiutare altre vittime di errori nel loro percorso di giustizia. La prima udienza è fissata il prossimo 13 giugno al Tribunale di Firenze e vede citati in giudizio – oltre ai carabinieri – , il Ministero dell’interno, il Ministero della difesa, il Ministero dell’economia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Un unicum della storia giudiziaria italiana. Il risarcimento milionario, quantificato in oltre 66 milioni di euro, verrà richiesto, «su suggerimento della Cassazione», per gli atti di tortura e le violazioni dei diritti umani, giacché «l’errore giudiziario cui sono incorse le diverse Corti che hanno sentenziato la condanna all’ergastolo del Gulotta – affermano gli avvocati sulla scorta delle valutazione del giudice di revisione – è stato la diretta conseguenza degli illeciti posti dai “servitori dello Stato” che, inquinando il giudizio penale, attraverso la produzione di prove estorte illecitamente, ha indotto in errore il giudice e condotto all’ingiusta condanna». La citazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri si fonda, invece, sulla violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per il mancato adeguamento della legislazione italiana nel senso della prevenzione e della repressione effettiva degli atti di tortura. «Le recenti condanne dell’Italia, l’attualità dei casi Cucchi e Knox, evidenziano come il dibattito sul tema dell’inserimento nel nostro ordinamento di tutte le garanzie riconosciute delle convenzioni sui diritti non sia più rimandabile, in un contesto in cui l’illecito e la tortura sono più diffusi di quanto pensassimo» concludono i legali. La Corte di Strasburgo, nella sentenza Cestaro c. Italia, ha espressamente escluso che l’obbligo riparatorio gravante sullo Stato possa venir meno a causa della lacuna normativa o per l’intervenuta prescrizione.
Nato a Roma, laureato in Giurisprudenza e Scienze Politiche,
ha ricoperto ruoli dirigenziali nella Pubblica Amministrazione.
Attualmente collabora con il Dipartimento Scienze Veterinarie e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Milano. E’ autore di numerosi articoli in tema di diritto alimentare su riviste di settore. Partecipa alla realizzazione di seminari e tavole rotonde nell’ambito del One Health Approach. E’ giornalista pubblicista iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia.