Forse si può dire che c’è qualcosa che ricorda l’etnia, la capacità di intercettare i propri simili, una particolare abilità in un settore nell’ampia gamma di malavita extracomunitaria presente a Milano. Sicuramente nessuna o ben poca volontà di integrazione nel clandestino che si inserisce nelle “mafie” perfettamente organizzate e collaudate che prosperano e lavorano attraverso conoscenze e “collaboratori” anche nel paese d’origine. Scoprire che i titolari egiziani di attività commerciali si dedicano spesso in un silenzio omertoso al trasferimento di danaro nel mondo arabo, è oggetto di un malaffare diffuso, basato sulla parola data, con la complicità di una rete cooperativa già collaudata. (illuminante il servizio al riguardo de Le Iene). “Allora funziona così, tu mi porti i soldi e io contatto chi di dovere in Egitto”. Ed ecco che il sistema si mette in moto e in Egitto un uomo di fiducia consegna in tempo reale la stessa somma al destinatario indicato dal cliente. Si maneggiano milioni e l’attività illegale è ben organizzata. Ma in quei negozi non appaiono altre criminalità: usura, violenza e indottrinamento terroristico (inchiesta La Verità)
Ma anche i nigeriani col berretto da baseball che chiedono l’elemosina appartengono probabilmente a un racket, con un boss a cui risponere e consegnare una somma minima stabilita a priori. A Repubblica Valerio Pedroni, responsabile sviluppo e relazioni istituzionali di una onlus, aveva dichiarato: “Non abbiamo ancora prove certe, ma c’è una serie di indizi che ci fa sospettare che questi ragazzi possano essere vittime di una rete criminale non diversa da quella che sfrutta sessualmente le giovani nigeriane”. Disperato senz’altro chi tende la mano, ma chi lo schiavizza?
Un ghigno beffardo alle nostre regole.
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Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano