Infastrutture, 539mila posti lavoro persi in dieci anni

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A giudizio del presidente della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, Rosario De Luca “investire in infrastrutture e ridurre il costo del lavoro sono le direttrici principali con cui far ripartire l’economia italiana, creando occupazione”. Alle considerazioni già dette sull’estrema utilità delle infrastrutture innovative, segnaliamo questo dossier Il cantiere dell’edilizia non è ripartito dopo la crisi, nel nostro Paese: sono, infatti, 539.000 i posti di lavoro sfumati dal 2008 al 2017 (il 44% al Nord, il 40% nel Mezzogiorno ed il 16% nelle regioni centrali). E a pagare il conto più “salato” sono stati gli italiani (-498.000, di cui buona parte giovani), mentre hanno contenuto i danni gli stranieri extra-comunitari (-41.000), e specialmente quelli comunitari, in maggioranza romeni, calati di “sole” 1.000 unità (-0,8%). Nel frattempo, al Sud la piaga dell’irregolarità ha guadagnato terreno, visto che “è passata dall’11,4% del 2008 al 15,8% del 2016, rendendo così l’edilizia il secondo comparto produttivo, dopo quello agricolo, con il più alto livello” di occupazione “sommersa”. È la fotografia scattata dall’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro, che ha anticipato gli esiti di una ricerca sugli effetti della congiuntura negativa sulle infrastrutture, presentata ieri a Genova. L’edilizia ha avuto il fiato corto, nel decennio precedente, in tutta Europa (dove si sono persi complessivamente 3,4 milioni di posti), tuttavia mentre gli altri Paesi sono riusciti a compiere passi in avanti, la Penisola non ce l’ha fatta ad arrestare l’emorragia di occupati, e soltanto nel 2017 ha registrato un aumento di 5.000 unità; gli impiegati nel settore non in regola, come accennato, si collocano principalmente nel Mezzogiorno, dove “quasi un edile su quattro lavora in nero (23,7%), quota che scende al 27,9% al Centro e al 10,4% nel Settentrione” .Il dossier fornisce pure un “identikit” del personale attivo nel comparto: oltre la metà ha conseguito al massimo la licenza media (55,1%), il 40,8% il diploma e soltanto il 4,1% è laureato, e ciò si riflette sul tasso di professionalità, giacché “l’81,6%” svolge mansioni considerate “mediamente qualificate”.

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