C’è il pigiamino, maglietta grigia a cuori e pantaloni della tuta neri, che la 19enne Jessica Faoro aveva addosso la sera in cui venne massacrata con 85 coltellate dall’uomo a cui lei aveva appena detto no, non ci sto. C’è il grembiule azzurro dell’addetta di un’impresa di pulizie violentata dal suo datore di lavoro. Ci sono il maglione e i pantaloni larghissimi indossati da una studentessa stuprata nel bagno della scuola che frequentava.
E c’è anche il tailleur grigio di una non vedente costretta a subire abusi sessuali sul luogo di lavoro da parte un collega che le sussurrava: “Sei solo una povera cieca”. Sono solo alcuni dei 17 abiti appartenuti a donne vittime di violenza sessuale che esposti nel salone principale del Palazzo di Giustizia di Milano per la mostra “Com’eri vestita?”, aperta al pubblico fino a venerdì 8 marzo, giornata della Festa della Donna. Un titolo tutt’altro che casuale quello scelto per l’esposizione itinerante (è partita proprio da Milano circa un anno fa) dedicata al contrasto di ogni forma di violenza di genere. Perché “com’eri vestita?” è la domanda che troppo spesso si sono sentite rivolgere le vittime di soprusi dopo aver denunciato lo stupro.
Un abito per raccontare una storia di violenza, dunque. E una domanda che la dice lunga sugli stereotipi che ancora oggi caratterizzano il fenomeno della violenza di genere. E’ questo il senso del progetto lanciato nel 2013 dall’Università del Kansas e poi “italianizzato” dall’associazione Libere Sinergie. Oggi il debutto al Palazzo di Giustizia di Milano con una cerimonia che ha visto riunite nel salone del terzo piano diverse decine di persone. Presente, tra gli altri, Stefano Faoro, padre della 19enne uccisa nel febbraio 2018 dal tranviere Alessandro Garlaschi, poi condannato all’ergastolo. (segue)
“Lo devo a Jessica”, le poche parole pronunciate dall’uomo, che non è riuscito a trattenere le lacrime. E’ toccato poi al presidente del Tribunale, Roberto Bichi, snocciolare dati sulla portata del fenomeno: tra stupri, stalking, abusi e molestie, sono oltre 3 mila i procedimenti avviati ogni anno dal Tribunale meneghino per violenza di genere: “E’ un fenomeno sociale vastissimo, se si considera che i casi denunciati rappresentano ancora oggi una piccola percentuale del totale”.
Fabio Roia, attuale presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale ma magistrato particolarmente esperto di violenza, maltrattamenti e stalking (nel 2018 è stato insignito dell’Ambrogino d’Oro, la massima onorificenza civica assegnata dal Comune di Milano ai cittadini benemeriti) si è invece soffermato sull’”aspetto simbolico” dell’esposizione: “Bisogna abbattere il muro degli stereotipi di tipo culturale e sociale che ancora oggi caratterizzano il fenomeno”, è la sua parola d’ordine.
“Troppo spesso – ha puntualizzato Roia – si tende a fare il processo alla vittima anziché all’aggressore. E’ una sorta di rigurgito che tende a tornare. Se una donna indossa un vestito succinto, questo non può rappresentare una sorta di consenso anticipato agli uomini. Sogno un mondo dove ciascuno si possa vestire come vuole”. (askanews)
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