In Italia sovrappeso e obesità interessano 1 adulto su 2 e 1 su 4 tra bambini e adolescenti. I più colpiti i bambini e gli adolescenti del Sud (31,9 per cento), più di un terzo non pratica né sport né attività fisica. Al via in Italia il programma internazionale Changing Obesity™In Italia, il 46 per cento degli adulti (18 anni e più), oltre 23 milioni di persone, e il 24,2 per cento tra bambini e adolescenti (6-17 anni), vale a dire 1 milione e 700mila persone, è in eccesso di peso. In entrambe le fasce di età si osservano differenze in base al genere: le donne mostrano un tasso di obesità inferiore (9,4 per cento) rispetto agli uomini (11,8 per cento). Più marcata è la differenza tra bambini e adolescenti: il 20,8 per cento delle femmine è in eccesso di peso rispetto al 27,3 per cento dei maschi. L’analisi territoriale conferma come l’eccesso di peso sia un problema diffuso soprattutto al Sud e nelle Isole; in particolare tra i più giovani, dove sono ben il 31,9 e 26,1 per cento rispettivamente i bambini e gli adolescenti in eccesso di peso, rispetto al 18,9 per cento dei residenti del Nord-Ovest, il 22,1 per cento del Nord-Est e il 22 per cento del Centro. Tra gli adulti, le diseguaglianze territoriali sono meno marcate: il tasso di adulti obesi varia dall’11,8 per cento al Sud e nelle Isole, al 10,6 e 10,2 per cento nel Nord-Est e Nord-ovest rispettivamente, fino all’8,8 per cento del Centro. Anche per la sedentarietà emerge un forte gap territoriale Nord – Sud. Fatta eccezione per la Sardegna, nella maggior parte delle regioni meridionali e insulari più di un terzo dei giovani non pratica sport né attività fisica, le percentuali più elevate si rilevano in Sicilia (42 per cento), Campania (41,3 per cento) e Calabria (40,1 per cento).
“Possiamo considerare l’obesità un’emergenza sanitaria, con serie conseguenze per gli individui e la società in termini di riduzione dell’aspettativa e qualità di vita, e con notevoli ricadute economiche. È necessaria un’attenzione specifica da parte dei decisori politici, affinché considerino in tutta la sua gravità questo fenomeno”, spiega Renato Lauro, Presidente IBDO Foundation. “Siamo convinti che la raccolta e la condivisione di informazioni, alla base del confronto e dei processi decisionali, possano contribuire a ridurre il peso clinico, sociale ed economico che questa malattia rappresenta e potrà rappresentare. Per questo motivo IBDO Foundation ha pubblicato l’Italian Obesity Barometer Report, realizzato in collaborazione con Istat, che offre una fotografia non parziale della situazione dell’obesità in Italia”. Oltre alla differenza dell’obesità tra Nord e Sud Italia, si riscontra un divario tra zone rurali e centri urbani: la percentuale più elevata di persone obese, pari al 12 per cento, si rileva nei piccoli centri sotto i 2 mila abitanti, mentre nei centri dell’area metropolitana la quota scende all’8,8 per cento. Dal 2001 al 2017, gli incrementi più elevati nelle prevalenze dell’obesità si sono osservati nei centri delle aree metropolitane (da 6,8 per cento a 8,8 per cento) e nelle periferie (da 8,2 per cento a 10,9 per cento). “Oltre alle disuguaglianze territoriali, un importante ruolo gioca l’istruzione. Un elevato titolo di studio rappresenta un fattore protettivo per l’obesità, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione a vari livelli e ancor più per quella primaria. Nel 2017, l’obesità interessa solo il 6,6 per cento dei laureati, mentre sale al 14,2 per cento tra coloro che hanno conseguito la licenza media”, dichiara Roberta Crialesi, Dirigente del Servizio Sistema integrato salute, assistenza, previdenza e giustizia di ISTAT. “Analizzando il fenomeno dell’eccesso di peso in relazione ad informazioni che si riferiscono al contesto familiare, si osservano prevalenze più elevate tra bambini e ragazzi che vivono in famiglie in cui il livello di istruzione dei genitori è basso, passando dal 18,5 per cento di quelli con genitori che hanno conseguito un alto titolo di studio, al 29,5 per cento di quelli i cui genitori hanno un basso titolo di studio”.
“L’obesità si manifesta a causa di uno squilibrio tra introito calorico e spesa energetica con conseguente accumulo dell’eccesso di calorie in forma di trigliceridi nei depositi di tessuto adiposo. Si tratta di una patologia eterogenea e multifattoriale, al cui sviluppo concorrono fattori genetici, biologici e ambientali” afferma Paolo Sbraccia, Vice Presidente IBDO Foundation e Professore Ordinario di Medicina Interna dell’Università di Roma “Tor Vergata. “L’obesità va considerata una vera malattia cronica recidivante che causa molteplici complicanze disabilitanti e mortali; tra queste il diabete tipo 2, l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia, la cardiopatia ischemica, l’insufficienza respiratoria con sindrome delle apnee notturne, l’osteoartrite. Di recente è emerso che l’obesità causa un numero elevato di neoplasie, che interessano l’apparato gastrointestinale. Si calcoli che negli Stati Uniti circa il 40 per cento di tutti i tumori si associa all’eccesso ponderale. Tutto ciò si traduce in una riduzione dell’aspettativa di vita di circa 10 anni e a una riduzione dell’aspettativa di vita in buona salute di circa 20 anni”, conclude.“L’obesità è anche una malattia con forti implicazioni sociali perché spesso associata a uno stigma. In un contesto attento al benessere e a un’immagine corporea mutuata su un modello di bellezza in cui si enfatizza il magro e l’atletico, la persona obesa, lontana da tale ideale estetico corre il rischio di divenire vittima di pregiudizi e di essere stigmatizzata per lo scarso impegno nel prendersi cura di sé, per l’essere incapace di migliorare la propria salute. In una indagine Censis 2018, un terzo della popolazione ha affermato di ritenere giusto penalizzare con tasse aggiuntive o limitazioni nell’accesso alle cure le persone che compromettono la propria salute a causa di stili di vita nocivi, come i fumatori, gli alcolisti, i tossicodipendenti e anche gli obesi” dice Ketty Vaccaro, Direttore Welfare e Sanità Fondazione CENSIS. “Si tratta di una percezione sociale che considera l’obesità non come malattia, ma come incapacità di prendersi cura della propria salute legata alla cattiva volontà e da giudicare severamente, fino al punto di ipotizzare una penalizzazione nell’accesso alle politiche socio-sanitarie”.
“Come rilevato dalla World Obesity Federation, la disapprovazione sociale è una delle cause che, attraverso stereotipi, linguaggi e immagini inadatte, finiscono per ritrarre l’obesità in modo impreciso e negativo. Esistono dati a livello globale di discriminazione in molte fasi della vita delle persone obese, a partire da episodi di bullismo sui giovani durante la vita scolastica, che possono andare dalla derisione, all’isolamento relazionale e fino a forme più gravi in cui il ragazzo obeso diviene vittima di soprusi e prevaricazioni da parte dei coetanei, alla vita lavorativa, dove è stata evidenziato uno svantaggio in fase di selezione, disparità salariali, minori avanzamenti di carriera, azioni disciplinari più severe e più elevato numero di licenziamenti”, dichiara Iris Zani, Presidente di Amici Obesi. “Ritengo che il Parlamento debba porre il tema dell’obesità all’ordine del giorno dei lavori quanto prima. Il carattere di emergenza di questa malattia, nelle proporzioni che vediamo illustrate, impone una presa di consapevolezza sulla malattia da parte dei decisori politici, a tutti i livelli, dagli Enti territoriali al Parlamento e al Governo, che stabiliscano trattamenti e cure mediche, sostengano l’attività di programmazione a livello di politica sanitaria e la combattano attraverso interventi sociali di comunità”, afferma Roberto Pella, Presidente Intergruppo parlamentare Qualità di vita nelle Città, Sport, Salute e Benessere.
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845