Immaginate quale reazione staranno avendo milioni di ragazzi, provocati dai manifesti che tappezzano Milano con l’immagine di una foglia di cannabis e una sola scritta: «Io non sono droga». Per pubblicizzare la 4.2o Hempfest, fiera internazionale della cannabis in programma dal 3 al 5 maggio, quattro parole usate come richiamo possono cancellare in un attimo faticose campagne di informazione sulle sostanze stupefacenti. Che sono tutte pericolose, anche quelle «leggere». Cannabis compresa, così di moda, invece, da diventare protagonista di un’esposizione. Al centro dell’interesse di laboratori, di conferenze, oggetto di lectio magistralis (c’è scritto proprio così) e di workshop come da programma (51 euro il costo del biglietto online), «su 8.000 metri quadrati nel centro di Milano», fanno saperegli organizzatori, garantendo che sarà una festa con informazione, musica, intrattenimento. «Non è altro che un’ignobile propaganda per la liberalizzazione della droga», protesta GiorgiaMeloni, presidente di Fratelli d’Italia, che ha chiesto «al ministro dell’Interno e al Comune di Milano di fermare la manifestazione. Il messaggio che la pubblicizza è devastante». La replica di Marco Russo, uno degli organizzatori del festival, di voler «solo far conoscere la canapa», non convince. Perché dietro al business della cannabis cosiddetta light c’è un disegno ben più vasto e poco contrastato di legalizzare la cannabis a uso ricreativo, cioè per sballarsi, mentre aumenta in maniera impressionante tra gli adolescenti l’utilizzo di droghe. Lo ha ribadito più volte Giovanni Serpelloni, già capo dipartimento anti droga della presidenza del Consiglio: «Nella cannabis è presente il cannabidiolo (Cbd) e il delta-gthe (The). La prima sostanza ha effetti “rilassanti”, mentre il The ha effetti stupefacenti. Il The sotto lo 0,6% è legale, anche se non per uso umano. Il punto è che con 20-3o grammi di materiale grezzo è possibile estrarre circa 25 milligrammi di principio attivo», a dimostrazione che non servono grandi quantitativi di cannabis light per ottenere un effetto psicoattivo. Il procedimento è semplice, l’aveva spiegato Serpelloni lo scorso luglio in una lettera aperta al ministro per la Famiglia, Lorenzo Fontana. Utilizzando bombolette di gas butano, si può estrarre il principio attivo e «facilmente arrivare a concentrazione 1020 volte superiore di Delta-9Thc contenuto nel prodotto originale di base acquistato in negozio, ricavandone una resina che viene poi impastata e fumata», scriveva il professore, ricordando il parere del Consiglio superiore di sanità ad aprile del 2018 dove si sottolineava «la pericolosità di tali prodotti per la salute pubblica, raccomandando per il principio di precauzione, l’adozione di misure atte a non consentire la libera vendita» della cosiddetta cannabis legale. Nelle centinaia di negozi che invece vendono e pubblicizzano la fogliolina verde, spesso mancano indicazioni sull’uso che non dovrebbe essere umano e si enfatizzano gli effetti rilassanti del cannabidiolo che è «sostanza farmacologicamente attiva», con effetti neuropsichiatrici (negli Usa, dove è stata legalizzata, si è registrato un aumento di incidenti stradali, di psicosi nei giovani, di suicidi e un incremento di uso dell’alcol) e che «dovrebbe essere prodotta attraverso filiere altamente controllate», sottolineava sempre Serpelloni. Non è affatto un prodotto innocuo, la sua pericolosità è stata ampiamente dimostrata, la definizione light è impropria e ingannevole, eppure continuiamo a essere inondati di pubblicità che promuove prodotti con Cbd. «Chi semina cannabis raccoglie eroina», ha dichiarato Antonio Tinelli, responsabile della prevenzione di San Patrignano. «Questi negozi di cannabis light stanno sempre più abbassando la percezione del rischio e non a caso sono sempre più giovani i ragazzi che ci chiedono aiuto, con un aumento del 70% dei minori negli ultimi cinque anni». Al 4.20 Hempfest di Milano gli organizzatori assicurano che non circoleranno spinelli e che gli oltre 150 espositori saranno impegnati a mostrare che cosa ricavano dalla canapa. Dalla carta ai tessuti, passando per l’alimentazione. Ma anche questo rientra nella strategia di far passare il messaggio di una cannabis innocua, che fa bene, che è stile di vita. Non a caso, spiegando la leggenda del 4.2o che dà il titolo all’evento, sul sito del festival scrivono: «Nell’autunno del 1971 cinque ragazzi della San Rafael high school, in California, vengono a sapere dell’esistenza di una piantagione di marijuana abbandonata. I ragazzi alle 4.20, partono alla ricerca della piantagione con una Chevrolet. La ricerca fu un buco nell’acqua, ma i ragazzi continuarono a incontrarsi ogni giorno alle 4.20 e il numero divenne il loro codice, che pian piano si diffuse per tutta San Rafael». Le foto di hippy rafforzano il messaggio finto libertario. La fiera era stata pubblicizzata già da inizio aprile, quando per una quindicina di giorni delle «cargobike» avevano distribuito nel centro di Milano circa 7.000 piantine di cannabis, con l’adesivo 4.2o Hempfest e la scritta «Non sono una droga». A Softsecrets.com, portale dedicato alla cannabis, Marco Russo aveva annunciato: «Regaleremo queste piante sperando che la gente continui a farle crescere a casa. A chi le prende chiediamo anche di postare una foto sui propri social per diffondere la cultura della canapa». Della canapa o della cannabis liberalizzata? Qualche mese fa, Paolo Ippoliti, docente dell’istituto Cassata Gattapone di Gubbio metteva in guardia: «Siamo sotto assedio e la cannabis light è il perfetto cavallo di Troia per far diminuire ancor più nei giovani la percezione del rischio».
PATRIZIA FLODER REITTER (La Verità)
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