Buio da Istituto Luce sulla fine di Radio Radicale

Attualità RomaPost

Pentastellati e leghisti, entrambi fedeli a social e tak, continuano a smantellare gli aiuti all’editoria. Come dice Crimi, sottosegretario delegato all’editoria, non ce l’hanno con Radio Radicale; semplicemente non finanziano nessuno. Il  maxiemendamento 12464 dei senatori 5stelle Patuanelli, Accoto, Gallicchio, Pellegrini, Pirro, Presutto, Turco e Pesco all’articolo 471 della legge di bilancio ha così abolito i contributi della legge agostana 230 del ‘90 e della 296/06, mantenendo solo il magro assegno da € 4 milioni netti per metà 2019 grazie all’emendamento Brunetta, raramente così generoso con i suoi. Da domani si interrompe, dopo la scadenza semestrale del 20 maggio la tassa di RR, di quasi € 400 milioni in 28 anni, su 43 di esistenza, destinati a meno di un centinaio di persone per un ascolto da un paio di centinaia di migliaia di persone, tutti addetti o appassionati a politica o giustizia.

La nuova classe dirigente, incolta, ineducata e senza rispetto neanche per le leggende, se ne frega delle belle parole, degli scioperi della fame con tanto di ricovero per Giachetti, degli appelli e soprattutto dei € 90mila l’anno spalmati tra 4 milioni di stipendi e 650.000 di consulenze di RR. Neanche Prodi era riuscito a tanto quando nel ’97 si trovò contro Bobbio, Bo, senatori a vita, Consulta e Agcom che gli dimostrarono che conveniva affidarsi ai radicali per trasmettere le sedute parlamentari e non  alla Rai Gr Parlamento prevista dalla lg. Mammì. Questione di libero mercato e concorrenza, anche se poi Gr Parlamento si è sviluppata lo stesso, sempre inarrivabile però rispetto alle 250mila ore, alle 430mila registrazioni di sedute, convegni e discorsi mandate in onda dai figli di Pannella.

Ora però questi sostenitori e fedeli al libero mercato, si stracciano le vesti sicuri senza la tassa loro dedicata di non trovare più risorse per proseguire l’attività. Non hanno fiducia nei soci azionisti (Lillo Spa 25,00% e Cecilia Maria Angioletti 6,17%), nel patrimonio di 250 impianti di diffusione terrestre e satellitare e copertura dell’85% degli italiani e di 98 milioni di euromediterranei,  dei due flussi in fibra ottica da Internet provider, dell’infrastruttura streaming UNI EN ISO9001; nell’organigramma dei 53 guidati dal direttore Falconio. Neppure nella raccolta fondi neanche presso i quasi 200mila oratori, dei partiti, associazioni o sindacati, registrati in 3.000 congressi, dei 6.000 comizianti, dei quasi 700mila giornali, tv, editori, giudici, avvocati o imputati protagonisti di 21.000 processi; neanche presso il consiglio comunale di Bologna, o l’assemblea siciliana che pure hanno votato ordini del giorno a loro favore; neanche presso quel filosofo partenopeo che si è rivolto al sindaco pupone; nemmen presso i  ben 194 anonimi impiegati, insegnanti, ingegneri, informatici, giornalisti, consulenti partecipanti allo sciopero della fame lanciato da Falconio; neanche presso il blocco di Articolo 21 (Rai) ed i seguaci della FNSI e di Stampa Romana, con contorno di Pd, Cgil e Sant’Egidio che hanno dato vita ad una maratona oratoria capitolina per evitare l’aborto di Radio Radicale. Forse chiederanno l’assorbimento di RR in Rai (che è già in parte avvenuta) con l’abatino Fazio direttore. O forse l’acquiserà Google che per RR cura la distribuzione.

Finisce così la leggenda della più democratica diretta, libera, pluralistica delle radio, che una colata lavica di professori di diritto penale ha definito fondamentale di servizio pubblico ed indispensabile di dibattito democratico. La leggenda messa a disposizione di tutti della vita politica italiana che sarebbe stata alla portata solo di una ristrettissima élite e non costruita attraverso la partecipazione tra congressi e sezioni di una grande massa. La leggenda della  gara vinta dall’unico contendente per un libero contratto che fino a dieci anni non c’era neanche bisogno di confermare, un contratto denominato convenzione con un soggetto tutto politico ma dichiarato economico che sta sul mercato; la leggenda dell’unica radio dedita a propri programmi informativi politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o letterari; la leggenda della Radio detta radicale ma non dei radicali che pure ripeteva incessantemente la nenia propagandista per una Lista Panella che rimambitamente non esisteva più da più di un decennio; la leggenda della radio libera (grazie alla liberalizzazione della sentenza 202 della Corte Costituzionale nel ’76, poi base di diritto anche delle Tv private), nata a  metà anni ’70, nel piccolo appartamento in via di Villa Phampili di Massimo Bordin, che non era una radio come tutte le radio libere politiche che diffondevano i dibattiti dei collettivi ed assomigliavano a Radio Alice; che infatti trasmetteva le sedute assembleari istituzionali per provocazione, a dimostrazione dell’inutilità dei lavori dei peones eletti, proprio come un ante streaming sputtanante alla grillo, parallela all’ostruzionismo distruttivo della pattuglia dei neodeputati radicali. Più gli onorevoli si arrabbiavano, più i poliziotti intervenivano, più Panella la buttava sul diritto negato, sull’autodenuncia, sullo sciopero della fame, mentre fuori imperversavano bombe, spranghe e P38. L’anima farisea Dc Pci che ci teneva ancora ai simboli e sotto la grandine del permissivismo Usa, si vergognava della sua mentalità clericobigotta, frustrata dalle dispettose sentenze laiciste. In epoca di ricchi finanziamenti pubblici alla politica fu facile pensare al  contentino per i tremendi, ma inoffensivi radicali, con tanti amici ricchi e potenti. Per cui Andreotti avvertiva sempre della presenza della relativa Radio coi toni dell’Attenti, il nemico ci ascolta. Non aveva torto; con la scusa di essere partitocratica, RR coltivava una profonda antipolitica, estranea al realismo liberalconservatore ed inseguendo l’utopia politicamente corretta con 30 anni di anticipo, faceva il gioco della propaganda al massacro comunista fino al cinismo imperante di oggi. La leggenda della radio che si diceva non di regime intendendo l’ancient regime finisce nel fumo delle sigarette dei suoi protagonisti che non vollero mai difendere i fumatori.

La leggenda era una favola. La realtà era che a metà anni ’80 le trovate radicali, dai diritti liberali per i drogati e delinquenti alle candidature di pornodive e di maestri dei terroristi fino alla difesa di minoranze e fascisti, era in crisi. Tanti anni dopo fu miserando il silenzio dell’ex partito delle puttane davanti alla destra, massacrata sull’altare del moralismo antilibertino. Acquisiti divorzio, aborto e permissivismo, heritage dell’Occidente Usa, era finita la doppia secessione pannelliana, prima dei pannunziani dai liberali, poi dei radicali dai sinistri liberali di Villabruna. E non si poteva perseguire la via del garantismo fino alla sua logica conclusione talvolta ammiccata da Bordin, di guerra ai togati che tanti trattamenti di favore avevano riservato ai radicali. L’aiutino però non poteva passare per i soliti danari ai gruppi politici, visti i pochi voti e le astruserie del transnazionalismo. Allora RR si trasfomò per ricatto in Radioparolaccia nostop dando i microfoni a chiunque. Come nei social di oggi, le persone comuni si presero gioco della libertà con migliaia di ingiurie, bestemmie, bullismi, fake, vilipendio delle istituzioni e apologia del fascismo. Non c’era niente di male a farli proseguire ma i radicali conoscevano e contavano sui tic del potere di decenni fa. Non mancò, dopo appena un mese, il sequestro giudiziario, per firma di tale sostituto Saviotti. In due mesi il Parlamento concesse il finanziamento considerando RR organo di partito (e cosa altro era?).

Il potere allora non era la faccia di bronzo di oggi; preferì pagare i radicali come sequestratori sardi. Non era finita però. Tutta la partitica cedette al pianto radicale, irrilevante fenomeno culturale che aveva nel mondo colto e laico alti protettori finché non gli svincolò un aiuto di partito senza vincoli democratici. Appena prima di Mani Pulite, venne ideato dai partiti, future vittime, il falso giuridico di finanziare il partito attraverso la sua radio, a prescindere da voti ed eletti. Per ripagare il regalo della lg. 230/90, i radicali rimandarono in onda nel ‘91 e nel ’93 le telefonate libere. Non solo, come finanziati a prescindere, lanciarono il referendum stravinto del 1993 che aboliva il finanziamento pubblico di tutti gli altri partiti. Stavano cavalcando l’onda giustizialista senza guardare in faccia anche agli ex amici cui consigliavano la galera.

RR era divenuta il sostentamento di un partito che si identificava con un appartamento ed i suoi frequentatori e che si dilettava di disseminare seguaci in tutte le liste con i programmi più diversi. Veramente partitocratico. Con quei soldi i radicali, da ologramma transnazionale senza tesserati neanche sotto casa, hanno partorito il Tribunale sui criminali di guerra per punire i regimi più deboli; si sono fatti parte del’Onu ed Ong quando le Ong non c’erano, sposando le cause immigratorie quando neanche c’erano immigrati; si sono  fatti alias della direzione carceri, detestando qualunque idea di ordine, avvocati che insegnano la salute al medico; hanno percorso in anticipo e senza successo la democrazia diretta digitale, il giornalismo d’inchiesta da wikileaks cui mancava un nulla per farsi i propri bitcoin e divenire finalmente indipendente da tutto e da tutti.

A forza di formare giovanotti e mandarli spie alle corte altrui, i radicali si sono fatti vecchi e contrari d’animo alle battaglie di gioventù. E soprattutto ininfluenti, su tutto, sulla fine della guerra fredda, su Tangentopoli, sulla fine de partiti centristi e laici, sulla guerra civile attorno a Berlusconi, sulla digitalizzazione, sull’aggressione internazionale all’Italia. Anticipatori sui metodi, e bugiardi sui contenuti, si sono messi a combattere il populismo agitato con il berretto frigio di un tempo. Sparite o andate le persone per limiti d’età son scomparse le trasmissioni RR come Catallassi di Della Vedova, Controluce di  De Marchi, Rond Point Schumann di Carretta, Sudamericana di Poretti, La nota di Prado, Generazione elle, Blogroll, Staminali e dintorni  ed ovviamente la Conversazione settimanale con Marco Pannella di Bordin, per la scomparsa di entrambi.

E’ rimasta Madre laica Emma de Il Cairo, la più cinica di tutti e la più attenta ai conti, innalzata dal   punto di testarda follia abruzzese di Marco, quando a lei restava solo il mes di calcolo. Lui l’aveva lanciata, Emma for president, nella stagione radicale, una delle tante, filopartiteIva che aveva fruttato un gettito di voti, su cui poi le era stato donato a destra il commissariato europeo. Per tutta risposta aveva poi  imbrogliato la sinistra per esserne candidata a governatrice del Lazio, tirando il Pd in tante cause antipopolari (eutanasia, testamenti biologici e mercato di filamenti placentari dopo l’aborto) e contrarie alle donne in nome della donna, come la guerra alla pensione di reversibilità. Toccava a lei salvare RR, invece per un ultima stagione di visibilità in un posto qualunque ha lasciato che il partito, ostaggio di un democristiano, si diluisse in un contenitore trasparente.

RR esce dalla cronaca, era già fuori dalla politica. Resta un insieme polveroso di vecchi merletti ragnatelosi che non a caso destano gola nella Soprintendenza Archivistica del Lazio, al Mibact, all’Archivio Centrale di Stato ai documentalisti delle Fonoteche e Biblioteche, ai laureandi della Scuola Speciale, all’Archivio Storico quirinalizio. Buio su RR che passa nell’ombra senza vita da Istituto Luce.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Moderazione dei commenti attiva. Il tuo commento non apparirà immediatamente.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.