E’ rimasta la musica. E poi la voglia di pace, lo scoppio di una creatività rivoluzionaria, il raduno di circa 1 milione di appassionati, l’epica di un evento irripetibile. Era il Festival di Woodstock, nel 1969, dal 15 al 18 agosto. Gli echi della guerra in Vietnam avevano acceso la miccia per protestare, per sognare un mondo visionario di fratellanza. E i giovani cantavano la musica rock dell’amore, senza confini. Avevo comprato un sottanone hippy, da Fiorucci, per essere in qualche modo partecipe di quell’idem sentire innamorato di un futuro tutto da scoprire. Gli artisti, i suonatori di strada parlavano di un miracolo musicale mai visto. E la musica contaminata, creativa, produsse i giganti che hanno sepolto schemi e limiti. Nel 1969 Michael Shrieve aveva 20 anni ed era il musicista più giovane del festival rock e il suo assolo di batteria per Soul sacrifice, sul palco di Woodstock con i Santana, è uno dei momenti magici e significativi della storia del rock del Ventesimo secolo. Ricorda “L’arrivo in elicottero, l’enorme folla vista dall’alto, fino ad allora non avevamo mai vissuto né visto niente di simile. Ricordo le due settimane trascorse chiusi in una casa a provare per il festival perché in precedenza eravamo andati in tour per tutta l’estate. E alla televisione le notizie dicevano che tutte le autostrade per arrivare a Woodstock erano paralizzate dal traffico, sulla strada principale c’era una coda di 150 chilometri”. E poi quell’invocazione “Freedom”. Ripetuta e ancora ripetuta e improvvisata, coinvolgente. Un urlo degli schiavi in rivolta, il lamento di una terra colonizzato, la speranza degli schiavi. E’ il grido di Richie Havens. Ci sono Country Joe McDonald, John B. Sebastian, Joan Baez, Arlo Guthrie e Ravi Shankar, alfieri del rock psichedelico come i Jefferson Airplane e i Grateful Dead. C’è il blues di Canned Heat, Johnny Winter e Paul Butterfield e ancora soprattutto la chitarra di Jimi Hendrix e Crosby, Stills, Nash & Young.
Assente Bob Dylan, per motivi personali. Il popolo ballava, cantava e si sballava con Lsd, quasi fosse un obbligo entrare in un mondo ipnotico. Ma la musica, come paradigma unificante per la comprensione e l’apertura verso altre sensibilità, rimane.
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano