Giovedì 22 agosto ore 20.30 Basilica di Santa Maria della Passione – via Conservatorio 16
Domenico Scarlatti: Stabat Mater a 10 voci
Il canto di Orfeo – Gianluca Capuano, direzione
La XIII edizione del Festival internazionale di musica antica Milano Arte Musica si conclude con un concerto dedicato all’emozione della polifonia sacra. Il canto di Orfeo, diretto da Gianluca Capuano, esegue una tra le più grandi pagine di musica sacra, lo Stabat Mater a 10 voci di Domenico Scarlatti, a cui si aggiungono brani di Alessandro Melani (Litanie per la Beata Vergine, Magnificat, Salve Regina), Antonio Lotti (Crucifixus) e Alessandro Scarlatti (Magnificat). Il concerto esibisce la vitalità dello stile antico “alla Palestrina” ancora nel Settecento, oltre un secolo dopo la morte del princeps musicae. Lo fa lasciando risuonare capolavori di tre generazioni consecutive di compositori che coprono mezzo secolo di produzione sacra, essenzialmente romana, a cavaliere tra Sei e Settecento. Benché originari degli angoli più disparati della Penisola – Melani di Pistoia, Alessandro Scarlatti di Palermo, Domenico di Napoli – tutti i compositori in programma, con l’unica eccezione di Lotti, convergono sulla Città eterna in stagioni rilevanti della loro attività. Accomuna i quattro autori la capacità di comunicare la poesia del contrappunto, la forza di convinzione d’un linguaggio musicale attrezzato a esprimere l’aura del sacro. Un simile culto dello stile antico, la fedeltà verso il contrappunto osservato col suo razionale rigore a cappella che ammette l’accompagnamento dell’organo, ebbe largo corso nell’Italia dell’epoca moderna: ancora nel Settecento, in pieno stile galante, in coabitazione e contrapposizione col moderno gusto pergolesiano, tanto che nel 1752 l’ormai anziano Domenico Scarlatti portava a modello compositivo assoluto «il vero modo e la vera legge di scrivere in contrappunto». Si badi, contrappunto non riproposto pedissequamente quale restaurazione antiquaria del verbo palestriniano, ma aggiornato e rigenerato alla luce della sensibilità estetica della Roma di Cristina di Svezia, dei cardinali Ottoboni e Pamphilj, dell’Accademia dell’Arcadia, di Händel e Corelli, facendo tesoro delle moderne risorse espressive dell’opera e della musica strumentale, com’è evidente nel profilo dei temi, nella commovente eloquenza della pittura sonora.
Su un simile sfondo si svolse la carriera di Alessandro Melani, come gli Scarlatti rampollo d’una famiglia di musicisti, che giunse a Roma nel 1668 con l’elezione del concittadino Giulio Rospigliosi al soglio pontificio col nome di Clemente IX, e ottenne la nomina a maestro di cappella di Santa Maria Maggiore. A quella sede illustre Melani rimase legato anche quando nel 1672 passò a San Luigi dei Francesi, poiché assunse la titolarità della cappella privata, detta la “Salve”, che la famiglia Borghese manteneva a Santa Maria Maggiore, per solennizzare tramite polifonia policorale i sabati e le feste mariane con un organico di lusso, una decina di scelti cantori pontifici e un organista. Melani la resse per trent’anni, fino alla morte, lasciando i propri manoscritti in eredità alla basilica. A quel contesto vanno riferite le litanie e le pagine mariane in programma, che propongono un contrappunto virtuosistico dal fascino suadente e dalla meravigliosa varietà timbrica, volta a promuovere un atteggiamento devoto di intensa partecipazione emotiva. Si apprezzi la sonorità aurorale con cui esordiscono leLitanie per la Beata Vergine a 9 voci, culminanti nella perorazione conclusiva dell’Agnus Dei, in perfetto equilibrio tra ieraticità e mobilità delle voci, cantabilità melismatica e moderna intensità armonica; la fluida freschezza del luminoso Magnificat, vivificato da molto movimento tra le parti; il Salve Regina intimo e raccolto, dal terso nitore delle linee vocali.
Si abbandona provvisoriamente l’ambiente romano per Venezia con Antonio Lotti, la cui vicenda, tra il 1687 e il 1740, fu completamente marciana, dal servizio come voce bianca alla inesorabile carriera come secondo, primo organista e maestro di cappella. Il suo celebre Crucifixus a 8 voci è un capolavoro di espressività polifonica, che esprime una profonda interiorità tramite l’asprezza della dissonanza, e rende giustizia alla fama che già all’indomani della morte arrise al suo autore come moderno campione dello stile antico. Con Alessandro Scarlatti si ritorna a Roma, dove il maestro palermitano, quando non dirigeva la Cappella Reale a Napoli, fu attivo presso diverse istituzioni ecclesiastiche, in gioventù (fino al 1683) e nei primi anni del secolo nuovo (1703-09), quando assurse a quella carica di maestro in Santa Maria Maggiore che era stata di Melani. Non è noto quando vide la luce la splendida partitura del Magnificat, che sfrutta la ricchezza d’immagini verbali del cantico lucano per dispiegare un’aggiornatissima ricchezza stilistica in cui melodia e contrappunto convivono pacificamente nel vario avvicendarsi di sezioni sempre diverse. L’incanto della trama di voci dell’esordio, luminosa superficie sonora eufonica e diatonica à la Palestrina, cede il passo al fresco, brillante dinamismo dell’«Et exsultavit spiritus meus»; ma si apprezzino anche il lirismo del «Quia respexit», la dinamica concertante tra una voce sola e le altre che contrappone Maria alle «omnes generationes» dei posteri (con altri mezzi ciò avverrà anche in Bach), l’imitazione serrata a «Fecit potentiam», il mobilissimo «Dispersit», lo ieratico «Deposuit», l’avvincente gioco di arpeggi dell’«Et exaltavit humiles», la commovente inflessione patetica ad «Esurientes», la bellissima fuga luminosa e rigorosa del «Sicut erat», il movimento fugato innescato dalla voce sola a «Gloria patri», e la fuga conclusiva dell’«Amen», straordinariamente mossa, che prelude allo Stabat di Domenico. Il concerto culmina nel capolavoro monumentale dello Stabat Mater a dieci voci di Domenico Scarlatti, che amplifica la complessità che animava il Magnificat del padre. Non è noto se questo lavoro mirabile risalga al servizio del musicista come maestro della Cappella Giulia in San Pietro (e dunque successore dello stesso Palestrina; 1713-19), oppure a quello presso la Cappella Reale di Lisbona (1719-29). In ogni caso, le dieci sezioni in cui il capolavoro è articolato mettono di fronte l’ascoltatore a bruschi mutamenti di prospettiva, virate audaci tra mondi stilistici contrapposti. Nel caleidoscopio cui danno vita queste dieci voci si fanno notare il modernissimo grumo di dissonanze a «Quae moerebat», animato dai salti audaci di drammatiche settime, gli stentorei interrogativi drammatici dei martellanti «Quis», le rinnovate dissonanze a «dolentem», la bellezza geometrica delle imitazioni a «Pro peccatis», l’invenzione melodica pregnante a «Vidit Jesum», «Vidit suum» e «moriendo», le sferzate energetiche a «Eja Mater», l’incantatorio, contemplativo «Sancta Mater», il dinamico gioco del contrappunto osservato a «Fac me vere», la vis da concerto strumentale e il teatrale contrasto solo-tutti dell’«Inflammatus», lo ieratico «Quando corpus», risolto nel brillante «Fac ut animae» prima dell’estrema sorpresa: un «Amen» concepito come mai Palestrina avrebbe potuto sognarlo, in perfetto, settecentesco stile concertante, a gettare un ponte, in nome di un’unica vibrante emozione del sacro, tra stagioni apparentemente inconciliabili di straordinaria invenzione creativa.
Posto unico 15 €
Punti vendita: sul posto, secondo disponibilità, 40 minuti prima di ogni concerto; in sede dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 12.00; online (con diritto di prevendita): Circuito Vivaticket www.vivaticket.it
INFO – tel e fax 02.76317176 – e-mail mail@lacappellamusicale.com – sito www.milanoartemusica.com
PROGRAMMA
Alessandro Melani Litanie per la Beata Vergine a 9
Magnificat a 8 (1639-1703)
Salve regina a 9
Antonio Lotti Crucifixus a 8 (1667-1740)
Alessandro Scarlatti Magnificat a 5 (1660-1725)
Domenico Scarlatti Stabat Mater a 10 (1685-1757)
L’ensemble vocale e strumentale Il canto di Orfeo, fondato nel 2005 e diretto da Gianluca Capuano, intende raffinare l’esperienza maturata da lui e dai suoi collaboratori negli anni di intensa attività concertistica. Uno dei punti di forza del gruppo è la musica di Carissimi (di cui Capuano è uno dei massimi studiosi), dei suoi allievi e dei compositori attivi a Roma negli stessi anni, non disdegnando comunque i capolavori del ‘600 italiano (Monteverdi innanzitutto) e il meglio della produzione europea tra il 1600 e il 1750 nonché incursioni nel repertorio tardo-rinascimentale e contemporaneo. Punto di riferimento per l’interpretazione della musica vocale barocca italiana, l’ensemble ha preso parte a importanti festival specializzati (primo fra tutti, il glorioso Musica e poesia a San Maurizio di Milano) in Italia, Francia, Austria, Svizzera e Germania.
Gianluca Capuano, nato a Milano, diplomato in Organo, Composizione e Direzione d’orchestra presso il Conservatorio della sua città, si è perfezionato in Musica antica alla Civica Scuola di Milano. Agli studi musicali, ha affiancato quelli classici: laureato con lode in Filosofia teoretica alla Statale, si dedica alla ricerca, occupandosi di problemi di estetica musicale, pubblicando nel 2002 il saggio I segni della voce infinita. Nel 2014 è stata pubblicata la sua edizione critica del Diluvium universale di Carissimi per l’Istituto Italiano di Storia della Musica. Nel 2006 ha fondato il gruppo vocale e strumentale Il canto di Orfeo, con il quale si dedica ai capolavori del barocco musicale europeo.
Laurea Magistrale in Lettere Moderne. Master in Relazioni Pubbliche.
Diploma ISMEO (lingua e cultura araba). Giornalista. Responsabile rapporti Media relations e con Enti ed Istituzioni presso Vox Idee (agenzia comunicazione integrata) Milano.