“Inaccettabile che social network popolari, danarosi e tecnologicamente avanzati come Facebook ed Instagram non siano riusciti ancora ad oggi a trovare una soluzione per distinguere una immagine porno da un’opera d’arte: per questa ragione, considerato che le censure si ripetono di continuo, ho deciso di promuovere un’azione legale per il danno che questa lacuna arreca al mondo dell’arte e a tutti gli operatori (artisti compresi) che vi lavorano. Sarà quella che in inglese definiscono una class action”
Lo annuncia Vittorio Sgarbi, storico e critico d’arte, nonché deputato alla Camera, da alcuni mesi presidente della Fondazione Antonio Canova. E proprio il celebre scultore è stato l’ultima, illustre vittima degli algoritmi dei social network, bloccando la campagna di comunicazione di un’agenzia di Treviso che aveva utilizzato come immagine il gruppo scultoreo “Amore e psiche”.
“Il punto – spiega Sgarbi – è proprio l’algoritmo: società stracolme di soldi, come Facebook, non possono affidare il controllo delle inserzioni sull’arte a un algoritmo. L’algoritmo non pensa, esegue. L’algoritmo non possiede conoscenza, ma applica dei blocchi che prescindono da valutazioni di merito. Ecco perché una scultura del Canova viene paragonata al culo di una Valentina Nappi qualsiasi: un orrore estetico. È un oltraggio al nostro patrimonio artistico”.
Sgarbi individua la soluzione: “Basterebbe assumere giovani storici dell’arte. Facebook farebbe un’opera meritoria, e potrebbe vantarsi di promuovere l’arte invece delle stronzate (per non dire delle bufale) pubblicate ogni giorno da milioni di utenti nulla facenti. Il paradosso dei social network è che bloccano le opere d’arte ma non le notizie false”
A seguire l’azione legale sarà l’avvocato Giampaolo Cicconi.
l’Ufficio Stampa
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