Se piove è un problema solo se non hai un ombrello. A meno che, per alcune oscure e francamente ingiuste eccezioni alle leggi universali, tu non possa essere bagnato contro la tua volontà. Il buon Dio di queste porcherie non ne fa. Lo stato sì. E sulla Sinistra è 70 anni che piove decisamente poco in relazione alle tempeste che hanno oscurato i cieli d’Occidente. Così, quando due giorni fa Facebook ha applicato pedissequamente le regole chieste dai compagni stessi per controllare le opinioni in rete, è nato un fiume. Non d’acqua normale. Erano lacrime, le lacrime di chi è stato abituato a non essere mai dal lato sbagliato della censura.
È successo, infatti, che le pagine sui Kurdi degli amici Komunisti siano state colpite in masse da regole che non sapevano manco che esistessero. Non si può, infatti, inneggiare ad organizzazioni che fanno della violenza la loro missione. Ops. Ma i Kurdi non erano il bene incarnato? Probabilmente sì, ma le regole sono regole. E stavolta si applicano anche a loro. Ed aspettate che prima o poi qualcuno in California si distragga un 25 Aprile. Ci sarà da ridere anche là. Ma torniamo a noi (a noi si potrà ancora scrivere?), torniamo ad oggi. Appurato che anche i compagni si bagnano quando il giudice è davvero imparziale, improvvisamente si scopre che la censura è brutta.
Finché a cadere era Casapound andava bene, quelli sono fascisti. È giusto essere intolleranti con loro, dopotutto. Solo che l’opzione “censuriamo i fasci” è difficile da spiegare ad un computer. Ed anche da mettere giù senza che sembri un attacco contro un gruppo di persone. Facebook, dopotutto, blocca le idee, non le persone. Per lo stesso motivo, quando si trattava di impedire all’Isis di fare propaganda, mica poteva dire “non vogliamo terroristi islamici”. Dovevano per forza dire “non vogliamo organizzazioni che usano la violenza come elemento fondamentale della loro azione. Tipo i Kurdi in armi. E questo è il primo problema. Il secondo è che, ovviamente, la società di Zuckemberg bara. Non è vero che le sanzioni arrivano solo quando si violano le norme.
Basta assai meno, in realtà. Bastano un sacco di segnalazioni ed alcune caratteristiche. Quali siano, è ignoto e forte è il sospetto che l’unico elemento dirimente sia il numero di segnalazioni. È il giochino che con cui si fanno le guerre tra bande sul social più blu. Ovviamente questo porta a colossali figure di palta, infatti molte pagine sono state rese di nuovo visibili. D’altronde, compagni sono pure quelli che fanno le revisioni. Ma molti non significa tutti. Il punto è rimasto. Ed improvvisamente anche quelli che si credevano al di sopra di queste beghe da meri mortali, gli dei delle opinioni, hanno scoperto di poter piangere.
E nel grande, lento, infinito fiume di lacrime della sinistra, di quelli giusti, l’esercito dei bannati, condotti alla deriva nell’etere dal nocchiero infernale con il profilo di Zuckemberg avevano finalmente un’espressione pacifica. Godutisi i dieci minuti di sana soddisfazione, però, sono certo che persino loro avranno notato il problema. Facebook era nato libero. La politica di due continenti lo ha reso un posto in cui aver paura di esprimere la propria opinione. Non che ci sorprenda, come conseguenza. Ciò che lo Stato tocca, dopotutto, corrompe.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,