Partendo da una piccola zona nelle Asturie, era il 750, Galizia, Baschia, Navarra e Catalogna furono la Marca di Spagna carolingia che cominciò la Reconquista dell’El Andalus, l’Iberia musulmana, contro gli invasori berberi e arabi del sultanato omayyade. Dalla Catalogna, indipendente alla fine del secolo IX, arrivò 6 secoli dopo, Farran, a cacciare i mori dalla penisola, a sconfiggere il Portogallo ed a dividersi il Sudamerica con bolla papale; e soprattutto ad unificare la Spagna con il matrimonio con la castigliana Isabella. Farran, non lo troverete però sui libri di storia; è rimasto famoso come Ferdinando II e V, a seconda del rispettivo trono di Madrid, Barcellona e Napoli. Non fu quindi Madrid ad allargarsi alla Catalogna, ma il contrario; esattamente come non fu Roma a unificare l’Italia, ma Torino.
Farran spiega così i tanti tentativi di indipendenza; il primo nel secolo XVII, la doppia proclamazione indipendentista di due secoli dopo, le altre due del 1931 e 1934 poi cristallizzate, nella guerra civile, nella contrapposizione tra Madrid franchista e Barcellona anarcosocialista, fino ai giorni nostri, ai due referendum indipendentisti del 2014 e del 2017 ed alle condanne penali decise dal Tribunale costituzionale del 2019.Spiega il rapporto privilegiato catalano con la Francia di Carlomagno, con quella dei Borboni che ne ressero la corona fino al Re Sole, con quella moderna socialista; ed al contrario l’incomunicabilità con il resto ispanico, rimasto irriconoscente alle imprese altrui, rimasto arretrato per i secoli moreschi; rimasto reazionario con i nemici Filippo II e Franco (che soppresse le autonomie dell’attuale Generalitat de Catalunya), rimasto monarchico e centralista, mentre la Catalogna da secoli insegue la forma repubblicana assieme all’indipendenza. In un rapporto di sguardi strabici, dove Madrid guarda alla burocrazia ed all’ispanidad oltre atlantico mentre Barcellona vede Europa e Mediterraneo. Come noto, il settentrione spagnolo dalla Baschia finanziaria alla Catalogna produttiva distanzia di diverse lunghezze il resto del paese, dal punto di vista dello sviluppo produttivo e culturale. Per decenni quest’insofferenza provocò il terribile terrorismo basco mentre ha consolidato voglie di libertà in Catalogna cui l’autonomia non basta più e sembra un’aberrazione la legittimità dei franchisti in politica che oggi reggono le sorti dei popolari. Un rapporto simile a quello di Norditalia e Suditalia. La Catalogna però in questa storia secolare ha il problema di trovarsi tra Spagna e Francia, due paesi ugualmente nazionalisti, centralisti, tendenzialmente affatto tolleranti con minoranze etnico linguistiche. Non si è trovata nel contesto dell’unione di quattro paesi dell’UK e nemmeno nella federazione obbligata tedesca dovuta alla sconfitta.
Nel mondo globalizzato che spinge per l’impero mondiale dell’apertura al movimento di persone, merci, capitali senza confini, mosse solo dalla comune competizione a 360 gradi, è evidente che lo Stato nazione perderebbe sempre più senso. Sotto questi buoni auspici, la divisione della Yugoslavia venne agevolata per liberare tutte le potenzialità delle aree più ricche, Croazia e Slovenia; facilitata quella tra Ceschia e Slovacchia, quella tra Serbia e Kossovo, sostenuta la vita dei paesi di Curlandia e la divisione delle Russie. Ciò che può essere immaginato o fantasticato nelle magmatiche terre orientali, però è un problema se intrapreso nei paesi fondanti l’Occidente. L’idea della prima grande secessione moderna venne stroncata con mezzo milione di morti per mano di un presidente Usa considerato ancora un mito positivo. Se venisse non solo promossa ma anche attuata l’idea che la libertà democratica può far scegliere ai cittadini gli ambiti amministrativi in cui vivere (all’interno del grande impero globale), molte aree ricche e capaci (come Fiamminga belga e NordItalia) lascerebbero al loro destino quelle più povere (come Franconia belga e Sud).
L’eccezione che conferma la regola è la volontà isolazionista del referendum vittorioso sulla Brexit, in antitesi al globalismo. In Uk però non è possibile trascinare in tribunale gli isolazionisti perché la grandezza dell’unico paese europeo vittorioso dell’ultima guerra lo pone sopra queste ingerenze. Malgrado ciò, il combinato disposto delle forze politiche, finanziarie e mediatiche stanno dividendo dall’interno i partiti inglesi, considerati i più coesi, come non si vedeva dall’offensiva politica commerciale sovietica degli anni ’20. Così la Brexit sembra non poter finire mai tra trattative infinite ed innumerevoli futuri trattati. Ed anche lì, di fronte ai timori dell’uscita dell’UK dall’Unione Europa, è papabile il sostegno ad un nuovo tentativo di indipendenza scozzese se fosse collegato al Remain. Quindi l’impero globale occidentale non può mollare gli Stati nazione per il timore di scatenare a cascata una divisione parcellizzante in molte regioni d’Europa. Dall’altro lato, tra le federazioni (quasi) inglese, tedesca, svizzera, belga, austriaca, sullo sfondo di quelle americane, la dimostrazione che la democrazia è a sovranità limitata, che vale per l’UK (forse) e non per il popolo catalano, in diverse prove elettorali, referendarie e parlamentari; che per il secondo pronunciarli è un delitto, inficia il punto fondamentale del manifesto europeo, quello del rispetto della volontà dei cittadini.
Nessun paese europeo, nessun membro del governo europeo ha detto una parola sulla caccia per l’Europa, sulla detenzione, sulla condanna ai membri legittimi di un governo regionale, rei di aver fatto votare i cittadini sull’indipendenza della regione. Nessun paese europeo, nessun membro del governo europeo ha voluto riconoscere se non la validità, il significato di quel voto reiterato base dell’autodichiarazione di indipendenza. E l’Europa ha perso il diritto di denuncia dell’invasione russa nella Crimea, della repressione cinese in Tibet, delle operazioni militari turche anticurdi. L’Europa, senza un minimo di mediazione dell’Unione, ha perso la verginità e la faccia sul combinato di cose, pacifismo, libertà e democrazia, che poteva sola sbandierare. Le milizie spagnole e catalane impegnati a disperdere la folla a Barcellona, sono apparsi violenti come i cinesi di Hong Kong. Tutti i tribunali internazionali, le procedure, le camere di compensazione sono improvvisamente apparsi gusci vuoti. La Brexit, allontanata nel tempo da una melina infinita, alla lunga produrrà molte Catalogne e l’Unione rischia di spezzare se stessa nel reprimerle. Perché l’Unione, come elemento dell’impero globale, sta per sua natura, dal lato opposto degli Stati. Se non può superarli portandoli oltre, non ha senso, mentre il globalismo lavora, almeno in Occidente, per la maggiore forza delle comunità più ricche sugli impianti burocratici centrali.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.