Anche le sardine, nel loro piccolo, odiano

Attualità

Non che sia una sorpresa per nessuno, ma i buoni, i puri, odiano quanto, se non più degli altri. È un dato storico, è un dato empirico, è una cosa che sappiamo tutti. Il movimento delle 6000 Sardine ne è solo l’ultima dimostrazione. Il problema è che noi, a destra, non abbiamo davvero capito le implicazioni di questo odio e stiamo rischiando di sottovalutarlo. Errore già commesso in passato, più volte. L’ultima nel 2008 quando, dopo il trionfo del PDL, ci siamo illusi che l’odio della sinistra radicale fosse stato finalmente sconfitto dall’amore e dalla libertà. La storia si è incaricata di smentirci. Come tante volte aveva fatto in passato.

Oggi siamo di fronte ad un popolo che chiamiamo di sinistra perché lo è al 90%. Il 90 non è il 100. Salvini è popolare, ma non è il Berlusconi del 2008. ha cavalcato l’inverno del nostro scontento, non è andato a caccia dei Cieli d’Estate che splendano su York. Ed ora, con i mesi più freddi davanti, ci siamo accorti che l’allegra cavalcata era passata sopra, calpestandolo, ad un piccolo popolo di grandi incazzosi. Che non andavano a votare, per la maggior parte, perché i congiuntivi e l’ironia di Renzi, la pacatezza di Zingaretti e litigiosità della sinistra lo teneva ben lontano dalle urne. Ma non dalla vita pubblica. Dai social. Dai Bar. E questo popolo ha incassato in silenzio.

Fino a quando, persa l’Umbria, non è stata assediata l’Emilia Romagna. Ci sono soglie psicologiche molto più forti delle ragioni elettorali. Perdere l’Emilia non è perdere la Sicilia o addirittura la Campania. È accettare che i fascisti trucidati dopo il 25 Aprile tornino a portare il conto. Vedere i boriosi dirigenti governativi sudare perché Perugia passa al nemico e Terni è Leghista può essere una lezione da insegnare, sopportandone il sacrificio. Ma Bologna la Rossa non può cadere. Guazzaloca viene ancora vissuto come una cicatrice da dimenticare. Figuriamoci se si può sopportare una Borgonzoni. La piazza di Bologna è Stalingrado. Difenderla è un dovere storico, per loro.

E l’unico collante per difendere la narrativa ed il mito è l’odio. La sinistra che ama, quella arcobaleno, quella pacifista (o pacifinta) e quella delle minoranze è bella. Ma non può battere Salvini. Ci hanno provato ed hanno sempre fallito. L’odio, hanno deciso gli ittici compagni, si batte con l’odio. Così hanno suonato il corno della battaglia e qualcosa si è mosso negli abissi. Noi sfottiamo i compagni e le loro scelte simboliche, ma dovremmo ricordare che dietro i simpatici pesci azzurri dorme il Leviatano. E se si sveglia, sono solo fatti nostri.

È interessante come, fischiettando innocenti, i compagni glissino sul fatto che c’era un accordo tra gentiluomini sul fatto che l’antifascismo militante dovesse restare a dormire. Che loro si impegnavano ad avere il primato su tutto ciò che combatteva il nazismo, ma in cambio avrebbero vigilato sul sonno di quel mostro. Una Echidna che ha partorito, fra l’altro, le Brigate Rosse. Eppure le sardine stanno battendo su tamburi potenti, le cui vibrazioni si estendono giù giù, fino all’Abisso. Ed il resto della sinistra le guarda estasiate. Per carità, sia chiaro, non sono qui a fare l’ipocrita: è lo speculare di quello che ha fatto Salvini con la destra.

Noi ci eravamo presi, non ufficialmente, ma non meno solennemente, il compito di vigilare sui dannati. Sugli estremisti. Sulle loro istanze. Separare l’odio dalla richiesta di sicurezza, ad esempio. O la componente razziale dall’immigrazione. Fare da guardiani della porta. Separando il giusto dall’odiatore. Salvini se ne è allegramente fregato, ha usato parole che avevamo eliminato dal vocabolario, ha spalancato le porte e si è beato del consenso che ne è derivato.

Oggi assistiamo alla reazione. Non meno irresponsabile dell’azione che l’ha causata. Noi moderati abbiamo l’ultima occasione di impedire tutto questo. Ma sapremo coglierla, prima che sia troppo tardi?

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