Il gatto borghese

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Ricolfi, in un testo snello, accessibile e non appesantito dal pur presente richiamo ai dati, ha descritto l’Italia odierna ne La società signorile di massa (ed. La Nave di Teseo). Perché non ha scritto borghese ?

Forse perché il professore piemontese di Analisi dei dati, e non Sociologia, in realtà fotografa un popolo che colloca l’ozio su un gradino più alto rispetto al lavoro, come appunto può permettersi il signore. Beato chi vive di rendita… Signori si nasce…sono state per secoli l’invidiata espressione popolare rivolta a ricchi ed aristocratici, nel comune sentire dell’indegnità e dell’inumanità del lavoro, che va dal faticà al pavesiano lavorare stanca. Ebbene oggi gli italiani sono finalmente divenuti signori. La stragrande maggioranza consuma stabilmente beni di lusso, grazie a rendite e non al lavoro la cui produttività è ferma da due decenni. Una fortunata condizione di cui si evita di parlare quasi in modo scaramantico; anzi che viene cacciata dalla narrazione dei media.

Consumismo e Schiavismo

Il consumismo voluttuario di massa è sotto gli occhi tutti e soddisfa bisogni ed ubbie personali, sempre più raffinate e cervellotiche. Si pensi ai 2 miliardi per la sabbia delle lettiere dei gatti o ai 14 per la loro alimentazione. O al gioco d’azzardo legale le cui somme scommesse eguagliano la spesa della sanità (senza dover neanche includere l’illegale). Ricolfi fa un dettagliato elenco di queste spese accoppiando il lavoro schiavistico necessario alla loro soddisfazione. Si va dall’agricoltura all’edilizia ai servizi alle persone includendovi spaccio e prostituzione. Servizi resi possibili anche dagli schiavi che forniscono alle decine di milioni di nuovi signori, cibo, vizio, cure, sesso e sballo. Fra questi sono presenti italiani (all’interno di quel 3% – 5% della popolazione, a seconda delle interpretazioni, costituita dai poco abbienti), ma soprattutto la gran parte degli stranieri, residenti legalmente e no.

Inattivi

Chi può spendere tanto? Il 56% (giovane e anziano) della popolazione che è inattivo e che si fonda su 25 milioni di pensioni, con il più grande patrimonio immobiliare costruito in Occidente. Con l’enorme aspettativa di vita (nel 2018, 85,2 anni per le donne e 80,8 per gli uomini) e la bassa natalità, gli anziani sono più numerosi dei giovani. Secondo il Censis ogni 100 persone in età attiva, ci sono 36 ultra64enni. A disposizione hanno un patrimonio che era di 8mila miliardi, pur svalutato in dieci anni del 12%. I giovani se ne vanno al ritmo di 40mila l’anno; quelli che restano per metà non fanno niente. L’Autore, riprendendo la tesi già presente in un capitolo de L’enigma della crescita del 2014, se la prende, fornerianamente, soprattutto con i giovani incapaci di fare i sacrifici dei padri. Le nuove generazioni studiano o troppo o troppo poco, desiderano restare Neet, sfaccendati, privilegiati e vittime, che, grazie alla famiglia ed alla rendita diffusa, non hanno bisogno di lavorare. Con loro, accusa il sistema educativo di spingere molti giovani a carriere d’appagamento d’immagine, enfatizzato dall’egotismo social, fuori dal sistema produttivo.

Itasiani

Ne parla per esempio la Vellar ne Le industrie culturali e i pubblici partecipativi del 2015. L’autrice enfatizza il ruolo dei gruppi volontari, chiamati itasiani, che traducono i dialoghi dei film in sottotitoli. Opera meritoria per una divulgazione che passa spesso però dalla pirateria. Le dimostrate capacità dei subber, che vogliono essere chiamati traduttori, cozza con lo scarso numero di impieghi che offre il mondo del doppiaggio e dintorni. La critica di Ricolfi non cancella lo scarso numero di laureati italiani rispetto alla media europea, né il basso livello nostrano (soprattutto in lettura ed in scienze ma non in matematica) evidenziato dal recente report Ocse. Il rischio di argentinizzazione del paese, dipendente in larga misura da alcol, droghe, ludopatia, reputation social e che, come ricorda il Censis, consuma oltremodo ansiolitici ed è dipendente dagli smartphone, forse non dipende dall’irresponsabile mondo giovanile, quanto dall’immobilismo sociale. Viviamo, dunque, nel Bengodi, nell’assurdo di un popolo che non producendo consuma a più non posso, senza pensare al conto. E secondo Ricolfi, saremo raggiunti presto in questo trend da Francia e Belgio.

Riassunto

L’analisi, con qualche ritocco, però, si presta ad altre considerazioni. Innanzitutto l’Italia è un paese borghese, cosa che non è affatto un male e che spiega perché il quadro politico sia al 95% di destra, mentre il mondo proletario, foriero di voti per i partiti di massa, si è ridotto ai luoghi illegali delle occupazioni e dei centri sociali. Insieme è un paese vecchio, escluso in gran parte dall’interesse politico pur mantenendo vivi slogan e vision della passata giovinezza. Il che evidenzia il vuoto ipnotico sul quale balla il dibattito degli addetti. L’invidia sociale, presente in tutto il mondo per lo scandalo dell’1% che possiede il 50% della ricchezza, non offusca che 55 milioni di italiani non sono poveri e che fruiscono di un notevole welfare. L’attenzione spasmodica, politica e mediatica, su temi sempre sollevati con angosciata preoccupazione, quali salute, qualità dei cibi, povertà ed immigrazione è ipervalutata, avendo una sola noce di verità, quella del lavoro schiavistico, responsabile anche della stagnazione dei salari. Il consumo permanente chiarisce poi l’impossibilità di mantenere vietati taluni settori illegali. Ci si dovrebbe orientare dunque alla loro legalizzazione vietando sul serio lo schiavismo e la sua fonte immigratoria.

La media ferma, metà avanti e metà indietro

La media della produttività ferma, pur in un decennio di conti pubblici attivi, al netto degli interessi sul debito, non nasconde che il Nord è altamente produttivo con leadership europea in settori di punta come la robotica. Il permissivismo scolastico, denunciato da Ricolfi, non dà cattivi risultati almeno in una parte del paese. Non è dunque quello il punto dolente. Per evitare polemiche Ricolfi evita di dire che l’Italia di oggi è somma, per semplificare, di Germania e Grecia mentre il raffronto fatto spesso con la Grecia vale, ed in negativo, per il Sud. La media ferma significa metà avanti e metà indietro.

Contra Bassanini

La pressione fiscale sotto il 35% dei ’60-’80, fattore che ha permesso la crescita, è impossibile oggi, dovendo mantenere i consumi omogenei a livello nazionale. L’altro volano tra ’70 e ’90, le svalutazioni competitive, sono rese impossibili da Maastricht (‘92) ed Euro (‘99); il che spiega la razionalità del trend antiunionista dell’elettorato. L’altra considerazione generale dei settori produttivi è che vasta parte della burocrazia e della politica sono appannaggio del Sud improduttivo. Ricolfi condanna il primo indebitamento pubblico foriero del mostruoso attuale, per non farsi ritrarre come un fan della Prima Repubblica e lancia i suoi strali contro la Bassanini ed il caos istituzionale che ne è scaturito. Gli italiani del regno di Bengodi non desiderano l’uomo forte, come ha dedotto il Censis, ma desiderano ugualmente schemi decisionali possibili. Imputano alla giustizia ed alla politica, la devastazione di famiglia e dell’omogeneità delle generazioni, che ormai sono dati sociologici sui quali non si torna indietro; alla giustizia ed alla politica la speculazione privata intervenuta su beni un tempo pubblici e soprattutto alla regolamentazione il caos del sistema produttivo.

Nell’inattività e nella senescenza però il giudizio negativo per l’irresponsabilità della giustizia viene subito compensato dal desiderio di ordine e legalità (oltre dalla rosea trasfigurazione per tempo che fu). Così l’indeciso e grasso gatto anzianotto biascica incerto la sua coda. Inconcludente, non se la passa male, da gatto signorile.

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