“Credito di imposta per ricerca, sviluppo e innovazione: bene ma non benissimo”

Attualità

Cosa può fare l’Italia per sostenere gli investimenti in ricerca sviluppo e innovazione? I recenti interventi sul credito d’imposta per ricerca sviluppo e innovazione risolvono alcuni problemi ma ne creano di nuovi. Nel Briefing Paper “Credito d’imposta per ricerca sviluppo e innovazione: bene ma non benissimo. Tecnologia, digitale e lavoro” (PDF) Carlo Stagnaro, direttore dell’Osservatorio sull’economia digitale dell’IBL, avanza alcune proposte di riforma.

Nello studio, Stagnaro anzitutto dimostra che tecnologia e innovazione non portano disoccupazione: anzi, è solo attraverso gli investimenti che le imprese possono guadagnare competitività e creare opportunità di lavoro. Proprio per questo, correggere il credito d’imposta è essenziale. Scrive Stagnaro: “Gli interventi più recenti – contenuti da ultimo nella legge di bilancio per il 2020 – hanno risolto alcuni problemi ma ne hanno creato altri. Sarebbe pertanto necessario razionalizzare e stabilizzare il credito d’imposta. Da un lato occorre preservare una base ampia alle spese incentivabili, che includa non solo la ricerca e sviluppo in senso stretto, ma anche innovazione e design. Dall’altro occorre tornare a un sistema di aliquote più semplici.

Attualmente le aliquote variano tra il 6 e il 12 per cento, secondo la tipologia di spesa: andrebbe invece individuata un’unica aliquota. Per incrementarla, occorre tornare da un meccanismo puramente volumetrico (come quello introdotto per il 2020) a uno ibrido volumetrico-incrementale (con una prevalenza della componente incrementale), in modo da massimizzare l’addizionalità, pur nel rispetto di un tetto ragionevolmente basso alle spese incentivabili (per esempio, 3 milioni di euro, come previsto per il 2020, o 5 milioni). A tal fine, andrebbe prevista per le imprese la possibilità di riclassificare i propri bilanci passati, a fronte di una semplificazione dei controlli da parte dell’amministrazione fiscale e di una riduzione delle eventuali sanzioni (qualificando in tal caso il credito come non spettante, anziché inesistente). Si potrebbe in tal modo creare una base contabile armonizzata per avere un riferimento rolling, per esempio ai tre esercizi precedenti, ai fini del calcolo della componente incrementale del credito. Da ultimo, non è pensabile che una misura come il credito d’imposta per R&S&I abbia durata annuale: esso va reso strutturale, per tener conto dell’esigenza delle imprese di programmare e intensificare le loro spese per innovazione e digitalizzazione. L’Italia ha un drammatico bisogno di stimolare l’innovazione: per farlo deve offrire alle imprese un orizzonte di certezza e la massima libertà di iniziativa”.

Il Briefing Paper “Credito d’imposta per ricerca sviluppo e innovazione: bene ma non benissimo. Tecnologia, digitale e lavoro” (PDF) di Carlo Stagnaro è liberamente disponibile qui (PDF).

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