Sul cadavere dei leoni ridono le iene. Letteralmente, peraltro. Sono dei necrofagi che chiamano il branco con rumori che possono essere confusi con delle risate. La stessa cosa sta succedendo con le spoglie del povero giornalista, divenuto dopo morte parte privilegiata dello sport più amato a sinistra: la guerra ai morti. Siccome dai vivi le prendono costantemente nelle urne, i compagni si dilettano a sconfiggere i morti. Le cui sberle spettrali fanno assai meno male. Questa considerazione è quella che ha fermato la mia mano finora. Perché difendere un gigante dalle pulci? Perché, dopotutto, non si tratta di Pansa. Si tratta della verità storica di questo paese. E va difesa, prima che se ne approprino i soliti ignobili.
Pansa, quindi, è morto. Evviva. Questa la reazione dei compagni più rossi. Pansa non era uno storico, dicono. Ha riabilitato il fascismo. Meglio: ha fatto crollare il cordone che teneva a bada i camerati. Non ci sono le fonti. Sono romanzi, non saggi. Viene da piangere a leggere certe idiozie, ma dobbiamo farci forza ed affrontare la radice del male. Esistono tre sostanziali categorie di pensiero, al di là della fuffa. E a ognuna va data una risposta separata.
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Pansa non è uno storico, non ci sono le fonti. Ovviamente è una bufala, Pansa alla fine dei suoi libri ha sempre pubblicato la bibliografia. Che poi ricalca i lavori di Pisanò ed il Martirologio. Non ha una produzione, di per sé (ed anche qui ci sarebbe da discutere), originale. Pansa è, semplicemente, un divulgatore. Fine. Come lo sono gli Angela. Come lo è Barbero quando non parla di Medioevo. Il divulgatore può essere, in partenza uno storico, come Barbero o non esserlo, come gli Angela. Ma è un mestiere con delle regole. La prima delle quali è indicare cosa si sta divulgando. Le critiche vanno, quindi, mandate alla fonte. Lui può essere attaccato per soli due motivi: la scelta della ricerca storica cui si riferisce o il modo in cui la riporta. E su ambo i punti Pansa è in regola. Se la storiografia ufficiale ha voluto abdicare al suo ruolo scientifico, per servire messa in ginocchio all’altare della Rossa Chiesa del Comunismo il problema non è Pansa. Che si limita, lo ripetiamo, a riportare fedelmente le uniche fonti non agiografiche in materia. È uno storico? No. È un divulgatore. Vale meno per questo? No. Fine.
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Le fonti non sono sufficientemente complete per poter avvalorare il suo racconto. Questa è una affermazione che gronda sangue. Il sangue delle vittime che sono state messe a tacere. Che trasuda violenza. Quella con cui sono stati intimiditi i testimoni. Sì, cari compagni, capiamo che vi siate impegnati molto per cancellare le tracce dei delitti. Vi va riconosciuto l’impegno. Bravi. Purtroppo non è bastato. Qualcuno ha ricordato. Qualcuno ha parlato. Ed è stato scritto tutto. O forse qualcosa è mancato. Voi potete saperlo, visto che siete i detentori di quei segreti macchiati di sangue. Ma siccome se parlaste cadrebbe l’insopportabile palco retorico su cui avete costruito la vostra narrazione, allora attaccate a testa bassa chi non ha dimenticato. Peraltro, faccio notare, se decidiamo che le testimonianze di parte non valgono il 99% della storia sarebbe da cancellare. Ovviamente il problema non sfiora nemmeno i critici. Perché, in fondo, tutto si riduce all’ultimo punto.
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I fascisti vanno ammazzati. Sempre. Ovunque. Poi si deve cancellare la memoria. Perché, di fondo, è questa la questione. L’odio che ha flagellato l’Italia dal 43 al 47 non è finito. E qualcuno vorrebbe tornare indietro. Capiamoci, i partigiani lottavano per la parte giusta della storia. Questo, però, non fa di TUTTI loro dei santi. Avevano ragione, ma erano esseri umani in guerra. Ed alcuni di loro, finite le ostilità, hanno creduto fosse venuta l’ora della rivoluzione. Questo ha cambiato al definizione di nemico e di cosa fosse permesso fare. Fine. Non c’è davvero altro da dire. Oltre a narrare gli eccessi perché non si dimentichi che anche chi ha ragione può commettere atrocità. Questa versione fa impazzire, letteralmente, i compagni più rossi. Non è accettabile che i loro eroi fossero umani e che alcuni di loro abbiano sbagliato, rivaleggiando in crudeltà col nemico. Perché la loro non è una posizione storico-politica. Ma fideistico-mitologica.
Ecco, questo è il punto: la sinistra, quella vera, quella che odia persino Repubblica, non è una parte politica. È una setta. E la settimana scorsa è morto un apostata. Si può sintetizzare tutto così: la nostra ragione di vita è la Resistenza vissuta come momento catartico mitologico, per cui di qua c’era tutto il bene del mondo. Di là tutto il male. Se salta questa narrazione torna il fascismo. E non creda ci sia nulla di più assurdo di questa idea. Perché si vincola un momento di insurrezione contro il fascismo, atto meritorio in sé, ad una coltre di menzogne. Contaminando una lotta sacrosanta col peccato peggiore di tutti: la menzogna volta a coprire il delitto. È il marchio di Caino sull’atto fondativo della Repubblica. Siete proprio certi di volerlo continuare ad apporre, articolo dopo articolo, alle fondamenta della nostra Italia?
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,