Cosa rimane della Trianomics

Attualità

La Trianomics è una definizione, probabilmente ingiusta, ma non falsa, che descrive i provvedimenti economici del Conte 1. Ovvero il gemello gialloverde del Conte 2. Pecca di giustizia perché sappiamo quanto poco contasse il povero Tria, ma il ministero era suo e quindi oneri, molti, ed onori, pochi, sono tutti suoi. Come avrete intuito, non è finita benissimo. Sono arrivati i dati per l’ultima parte del 2019, che poi sono ancora in carico suo, visto che riguardano il periodo precedente alla finanziaria. Dicono che ci siamo fermati. -0,3% di Pil, disoccupazione stabile, ma crollo dei posti di lavoro stabili. Insomma, mala tempora currunt.

Diamo uno sguardo dall’alto alla situazione. Durante l’era Obama, gli Usa avevano deciso che la produzione industriale, orrendo regno del maschio bianco, era destinata a morire in America. Molto meglio le rinnovabili. Il bio. Cose così. Questa strategia, economicamente suicida, aveva aperto uno spiraglio alla nostra manifattura. Nostra nel senso di Europea. Europea nel senso di Tedesca. Di cui però siamo tra i principali terzisti. In questo contesto siamo cresciuti, ci siamo stabilizzati ed abbiamo prosperato. Poi è arrivato Trump e si è fatto alcune domande. Una di queste è perché dovessimo essere noi quelli che esportavano e loro dovessero essere quelli che subivano e basta.

Da qui la situazione è precipitata tra dazi e contro dazi. Il resto è storia. In tutto questo noi nel 2018 abbiamo deciso che, visto che eravamo in crescita, invece di risparmiare la scelta giusta era redistribuire. Una mossa geniale che nemmeno a Keynes o Marx sarebbe venuta in mente. A granai semi vuoti abbiamo banchettato. Ottimo. È tornato l’inverno, la situazione si è complicata. E noi oggi abbiamo ancora fame, ma non c’è più grano.

La gente è pessimista. Il PIL si contrae. Insomma, la solita storia. Con l’aggiunta di una novità: nonostante tutto, nonostante le leggi, la propaganda e le balle a cinque stelle la realtà trionfa. Crollano i posti fissi. Ritornano quelli precari. Questo in barba alle migliaia di persone cacciate dal mondo del lavoro dal decreto dignità che avrebbero dovuto preludere al mondo perfetto in cui il posto fisso era il solo finale.

No, in fase di incertezza non finisce così la storia. Ci dispiace. In fase di incertezza la realtà trionfa. Anche quando è brutta. Non va evitata, va affrontata. Possibilmente non come i giallorossi che alla situazione hanno dato, probabilmente, un altro spintone verso il burrone.

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