L’arch. Cino Zucchi “I progetti architettonici a Milano? Molto deludenti negli ultimi anni”

Milano

La città intraprende un nuovo corso di sviluppo. Soprattutto nelle costruzioni Nelle gare vince spesso il progetto a basso costo, tarpando le ali alla potenziale creatività di altre proposte. Cino Zucchi, il grande architetto e docente al Politecnico, su Facebook esprime una “pacata riflessione  sul contesto architettonico a Milano. E ha messo a confronto la “qualità progettuale sempre più alta nella generazione dei giovani architetti italiani ed europei”, con i “progetti in corso a Milano” che, dal suo punto di vista, risultano “spesso molto deludenti”. Un’affermazione associata a una serie di motivazioni. “Cerco di spiegare perché: in un’epoca di diffusione virale delle immagini, esiste ormai un’architettura “commerciale” – non do a questo termine un valore così negativo – che combina con furbizia motivi copiati qua e là da progetti pubblicati da riviste, creando un linguaggio spurio, senza radici, senza coraggio, senza coerenza vera”, afferma Zucchi. “È un linguaggio “eager to please” (ansioso di piacere) che mischia hi-tech, tetti verdi, doppie vetrate, ritmi sincopati, muscoletti, colpi di sole, tatuaggi, zazzere e Ray-ban specchiati”, scrive ancora. Provando, in particolare, ad attivare una riflessione con i “migliori esempi di architettura milanese degli anni ‘50 e ‘60”, lo scenario attuale appare meno convincente e, forse, anche meno promettente dinanzi alla sfida del tempo. “Senza mettermi in cattedra o fare il “connoisseur”, sento tuttavia come problema il fatto che pochi sembrano accorgersi della distanza o differenza tra questa produzione e gli esempi di reale valore. Parlo non dei capi d’opera di grande impatto iconico (gli edifici della Bocconi delle Grafton o di Sanaa, la Fondazione Prada di Koolhaas, La Feltrinelli di Herzog e De Meuron e pochi altri) ma delle architetture che costruiscono a piccoli frammenti i nuovi tessuti urbani della città”.Lo sviluppo immobiliare sembra dunque muoversi sulla scia di una sorta di “facile ricerca del consenso”, anziché essere caratterizzato da interventi potenzialmente in grado di divenire “esemplari”? “Diciamo che la città è di tutti e tutti hanno il diritto di esprimere giudizi -, anche limitati al “mi piace” o “non mi piace” -, però c’è qualcuno che sente ancora la differenza tra esibizione e sostanza, tra le frasi ad effetto e la poesia vera, tra Eros Ramazzotti (che pure rispetto) e Leonard Cohen?”, domanda apertamente Zucchi, attingendo alla sua ben nota passione per la musica per una efficace metafora. La sua valutazione, in realtà, non sembra essere così isolata. Solo qualche settimana, nell’anteprima del campus dell’Università Bocconi di studio Sanaa, anche Alessandro Benetti su Artribune aveva fatto riferimento a una “Milano che negli ultimi anni ha fatto il tutto esaurito di incubi scultorei da archistar di serie B”…. Qualche esempio? Ad esempio, l’ultimando Gioia22, proprio nell’area di Melchiorre Gioia ovvero nel nuovo scintillante centro direzionale a pochi passi dalla stazione centrale, a firma di Cesar Pelli. Oppure tutta l’area a sud della Fondazione Prada sviluppata dalla società Covivio sotto il brand “Symbiosis”, che sta uscendo dall’abbandono trasformandosi in appetibile quartiere per uffici all’insegna di architetture non propriamente avvincenti e inconfondibili. O ancora, non distante da qui, la nuova prevista sede-grattacielo della multiutility A2A, che ‘affaccerà’ proprio sul progetto di Rem Koolhaas e infine, sempre restando ai progetti firmati da Antonio Citterio e Patricia Viel che sembrano destinati nel bene e nel male ad essere i principali interpreti della nuova Milano, il development denominato Gioia20: qui è stato fatto un concorso, c’erano tante proposte coraggiose, è stata scelta quella più… normale. O, meglio, più in grado di tenere bassi i costi di costruzione e alte le potenzialità commerciali. A discapito – questa è la questione – della creazione di un profilo urbano immaginifico e unico? (Fonte Artribune)

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