Coronavirus: siamo il paese che se la prende con chi sta in trincea

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Coronavirus: il premier Conte scarica le colpe sui medici di Codogno, la Procura apre un’inchiesta. Tutto giusto? Tutto doveroso?

Il giornale La Verità l’ha già ribattezzato il «Contevirus». Di certo, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, finora, ne ha azzeccate poche. Non è un caso che sui giornali trapeli «l’irritazione di Mattarella» (che è un modo delicato per far sapere a tutti che il capo dello Stato è furibondo) e che, addirittura, si fantastichi di una nuova maggioranza d’unità nazionale con dentro la Lega e Conte rispedito a fare l’avvocato.

I poveri medici di Codogno

La chiusura dei voli dalla Cina, come s’è capito, è stato un autogol, ma questa non è stata la gaffe peggiore del premier. Ancora più sconcertanti sono state le dichiarazioni sul mancato rispetto dei protocolli da parte dei medici del piccolo ospedale di Codogno. Parole improvvide, non solo perché ineleganti (il gran capo dell’esecutivo che se la prende con gli infermieri e i medici di turno di un piccolo ospedale di provincia), ma anche perché l’ultima disposizione data era quella di fare il tampone solo a chi – sintomatico – veniva da zone a rischio della Cina o aveva avuto contatti con chi da lì provenisse.

E come è ormai acclarato, il paziente 1 non era stato in Cina e ancora oggi non è chiaro da chi abbia contratto il virus. Che responsabilità possono avere i poveri medici e infermieri di Codogno, chiamati a intervenire in una situazione poco chiara, con norme e indicazioni spesso contraddittorie?

L’inchiesta della Procura

Di più. Come ha giustamente notato Franco Bechis sul Tempo,

«abbiamo un presidente del Consiglio che parla a vanvera, ma facendolo regala a tutto il mondo questo messaggio: il servizio sanitario italiano non è sicuro, e fa danni. Così anche voi stranieri se mai i vostri governi vi lasciassero venire in Italia, venite pure preoccupati perché, se malauguratamente soffriste di qualche malanno, negli ospedali italiani fingendovi di curarvi vi trasmetterebbero la peste».

E non è finita perché, in seguito alle dichiarazioni di Conte, la Procura di Lodi ha aperto un’indagine per accertare se esistano responsabilità nella gestione del paziente 1. E in base a quali informazioni la procura si è mossa? Dopo le notizie di stampa che hanno trovato conferme «nelle pubbliche dichiarazioni di un autorevolissimo esponente delle istituzioni». Cioè Conte, cioè grazie tante Contevirus.

Era proprio necessaria?

Diciamo la verità, siamo il paese in cui s’indaga un sindaco dopo un’inondazione e i sismologi dopo un terremoto. Siamo il paese, come ha scritto Giancarlo Cesana, dove si «risolvono i problemi con soluzioni apparentemente radicali, ma intese solo a sgravare delle responsabilità». Converrà dire qualcosa anche su questi solerti magistrati, no? Se può essere vero che l’indagine era «doverosa», come ha dichiarato il capo procuratore di Lodi, Domenico Chiaro, era anche opportuna? Si torna sempre lì, alla questione dell’obbligatorietà dell’azione penale e alla, di fatto, sua discrezionalità. Va precisato per dovere di cronaca che Chiaro ha parlato di un provvedimento a carico di ignoti «seppur con la consapevolezza che ogni eventuale responsabilità è tutta ancora da dimostrare nel pieno rispetto delle garanzie difensive».

Resta il fatto che l’apertura dell’inchiesta ha generato un certo sconcerto nel personale ospedaliero che, per voce del suo direttore generale, Massimo Lombardo, ha difeso il rianimatore parlando di «ammirazione per la sua intuizione clinica» che ha «sottoposto il paziente 1 a tampone nonostante il suo caso, secondo i protocolli del ministero, non lo richiedesse».

Prendersela con chi lavora in trincea

La spariamo un po’ grossa, ma non possiamo fare a meno di chiederci se l’indagine non andasse aperta, più che sui medici, sulle dichiarazioni di Conte. Il problema è che, mentre tutti ci si prodiga a chiedere “calma e sangue freddo”, un’inchiesta del genere non può far altro che ingenerare confusione e non aiutando a «lavorare serenamente» come ha scritto venerdì anche il sorvegliato Corriere della sera:

«Il Covid-19 è un virus che può avere un decorso clinico insidioso con repentini peggioramenti, per questo l’attenzione deve restare alta ma non è il virus Ebola e il nostro Servizio Sanitario Nazionale sta rispondendo decisamente bene alle nuove necessità, con una generosità straordinaria della quale va dato atto a tutti gli operatori sanitari. Certo le inchieste come quelle aperte dalla Procura di Lodi non aiutano a lavorare serenamente chi è già in trincea».

Trincea che ha il suo primo fronte proprio all’ospedale di Codogno dove i tre infermieri che sono entrati in servizio la sera del 20 febbraio da allora non sono più stati sostituiti: chi avrebbe dovuto dare loro il cambio si è rifiutato. “Cornuti e mazziati” si diceva una volta; “infettati e indagati” dovremmo dire oggi, nell’Italia del 2020.

Emanuele Boffi (Tempi)

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