Analizzando diverse voci di spesa destinate a finanziare gli aiuti a famiglie, imprese e lavoratori per l’emergenza, sorgono alcune ambiguità.
Ci viene il dubbio che lo Stato sia a corto di moneta. Attenzione, non vogliamo dire che siamo già falliti, ma parliamo del denaro liquido, cioè del denaro immediatamente disponibile e che può essere prontamente impiegato.
La crisi dei mercati sta avendo ripercussioni negative in primo luogo sull’Italia. Il mancato acquisto dei titoli di stato italiani da parte degli investitori, ci sta privando di risorse economiche liquide.
La resistenza dei paesi nordici e le lungaggini dei negoziati a Bruxelles complicano la situazione. Infatti il Quantitative Easing deliberato dalla BCE non è sufficiente per iniettare all’Italia la liquidità di cui ha bisogno.
Che lo Stato sia in difficoltà è palese. A certificarlo sono alcune complicanze degne di nota.
In questi giorni sono giunte all’Agenzia delle Entrate diverse segnalazioni di assegni di reddito di cittadinanza e NASPI non corrisposti.
A questo si aggiunge il fatto che dei 25 miliardi sanciti dal decreto Cura Italia ne siano stati stanziati effettivamente solo 13.
È garantita la cassa integrazione in deroga, a cui però fanno fronte le banche e non lo Stato.
Per quanto riguarda i buoni spesa promessi per le famiglie, questi sono coperti al momento solo con i 400 milioni previsti dall’ultimo DCPM. Infatti gli altri 4,3 miliardi destinati ai comuni saranno forse disponibili entro la fine di Aprile.
Peraltro l’Italia sembra essere l’unico Paese UE che continua ad incassare i tributi. Al momento l’unica misura di supporto in tal senso, se così si vuol definire, è stato il rinvio di 4 giorni dei versamenti, a favore delle imprese con fatturato superiore ai 2 milioni di euro, mentre per gli altri le scadenze sono state rinviate al 31 maggio. Inoltre i pacchetti di stimolo economico sono inferiori di almeno un ordine di grandezza rispetto la media UE.
Se lo Stato sia corto di liquidità e non sia nelle condizioni di assolvere agli aiuti proclamati da Conte, le soluzioni ipotetiche sono due.
La monetizzazione dei titoli degli asset aziendali è una strada poco praticabile, se non altro perchè subirebbero un deprezzamento di valore enorme.
La soluzione più verosimile pare la sostituzione del premier attuale Conte, con una figura istituzionale di spicco, che abbia una maggiore esperienza di trattare ai tavoli europei.
Mario Draghi è il nome che in questi giorni stiamo leggendo su tutti i giornali.
Draghi, ex presidente della BCE, sta pungolando l’UE sul da farsi. Iniezione di liquidità, debito pubblico e flessibilità sono in questo momento le sue parole d’ordine, “per evitare una profonda recessione dalla quale sarà possibile risalire”.
Andrea Curcio
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845