Il caos che si è verificato sul sito dell’INPS, dal crash dovuto all’eccesso di richieste di contatto ai successivi, imbarazzanti e pericolosi bug, ha avuto il merito di svelare il vero problema del sistema telematico italiano di fronte all’emergenza Coronavirus: volendo semplificare, il problema sono i server e l’informatizzazione dei grandi enti, piuttosto che le reti di telecomunicazione.
Da quando l’emergenza Covid-19 è in corso vi sono stati numerosi interventi, a livello sia nazionale che europeo, per far sì che le reti di telecomunicazioni siano in grado di sostenere l’aumento del traffico dovuto alla quarantena dei cittadini che ora lavorano, studiano e si divertono prevalentemente da casa: smartworking, lezioni su Youtube e tanti film in streaming. Il commissario europeo Breton ha persino telefonato al CEO di Netflix per chiedere di abbassare il bit-rate dei contenuti trasmessi ed alleviare le eventuali congestioni di traffico sui gestori di reti.
Non si capisce da dove sia nata questa iniziativa estemporanea, ma sembra che il principale operatore francese, Orange, fosse in difficoltà e che siano piovute critiche circa l’ammodernamento della rete transalpina. Peraltro, Breton è stato CEO di Orange e quindi conosce bene quell’infrastruttura. Al di qua delle Alpi, invece, il governo italiano ha emanato, nell’ambito della legislazione emergenziale sul Coronavirus, alcune norme specifiche proprio sulla capacità delle reti e persino sulla possibilità di cambiare operatore (su cui magari torneremo in un altro articolo, perché vi sarebbe da commentare).
Ma quale è la situazione delle infrastrutture di telecomunicazioni in Europa ed Italia? A vedere i rilevamenti ufficiali, in particolare quelli del RIPE NCC ed i dati forniti dagli operatori (in particolare gli Internet Exchange Point nazionali), la rete Internet è sotto pressione ma sta funzionando e tenendo bene ovunque, Italia compresa. Vi sono fenomeni di congestione locali o temporanei, ma sopportabili e che non mettono in crisi il sistema telematico nel suo complesso.
Ovviamente, questo non vuol dire che le connessioni degli italiani vadano tutte ugualmente bene, ma questo dipenderà dal tipo di connettività che il singolo utente ha prescelto per l’ultimo miglio: chi utilizza una connessione esclusivamente in fibra (c.d. FTTH: Fiber To The Home) si trova nella situazione migliore di tutti, mentre chi ha un abbonamento misto rame/fibra (il c.d. FTTC: Fiber To The Cabinet) oppure solo in rame (ADSL) sarà maggiormente esposto a congestioni e disservizi nel caso l’intera famiglia sia connessa, chi per lavoro/studio, chi per svago, nello stesso momento.
Un discorso a parte va fatto per le connessioni mobili o wireless che, in effetti, possono soffrire la presenza contemporanea di vari utenti (lo spettro è infatti una risorsa condivisa all’interno di una cella, a differenza della fibra, che è di uso esclusivo dell’utente). In altre parole, il sistema Internet sta tenendo e non vi è da temere l’effetto Netflix o Youtube, anche perché la maggior parte dei content provider usano delle c.d. “cache” per fornire i loro servizi: i contenuti vengono quindi decentralizzati presso dei server che si trovano vicino agli utenti, con il risultato che eventuali sovraccarichi possano verificarsi in determinate reti locali, ma senza mandare in tilt l’intera infrastruttura nazionale.
In generale, gli OTT dispongono di risorse estremamente scalabili e non soffrono i picchi di traffico. Sembra che Facebook abbia registrato in Italia un aumento del 50% del traffico nel periodo di emergenza, ma senza che l’accessibilità al sito ne abbia risentito granché. Se il quadro delle reti (e della grandi piattaforme) è confortante, come si spiega la disavventura del sito dell’INPS? Il problema è evidentemente altrove. Anche se le reti telematiche sono in grado di trasmettere una crescente quantità di dati, e di richiesta di servizi, non è poi detto che le macchine (cioè i server) chiamate ad elaborare e rispondere a tali richieste siano preparate per farlo.
Se migliaia di Italiani decidessero allo stesso tempo di entrare in un ufficio pubblico per sbrigare delle pratiche, l’effetto sarebbe devastante: si formerebbero file chilometriche e gli impiegati andrebbero in tilt. La similitudine nel mondo reale vale anche in quello informatico, perché i server hanno problemi di capacità ed elaborazione come qualsiasi ufficio: tuttavia, e qui finisce il paragone con il mondo reale, nel mondo informatico esistono modelli organizzativi e soluzioni tecnologiche che possono metterci al sicuro dai picchi di traffico (come i grandi OTT insegnano).
Anni fa questi incidenti di congestionamento erano molto frequenti con i quotidiani online: non appena accadeva qualche cosa di importante (un attentato, un evento sportivo), il sito del quotidiano risultava irraggiungibile o andava a rilento per un po’, perché non era in grado di sostenere il picco di richieste dei lettori.
La risposta a questo problema fu fornita, tra le altre soluzioni, con il cloudcomputing, cioè con l’emergere di una infrastruttura distribuita e scalabile che permette di gestire in automatico i picchi di traffico. Si tratta di un mercato creato e lanciato da Amazon, che negli anni 2000 non riusciva a gestire i picchi di traffico natalizio sul suo sito di e-commerce.
Partendo da un problema organizzativo interno Amazon ha creato un mercato immenso, che tutt’ora domina, con circa il 40% del mercato europeo. Gli altri grandi player europei sono Microsoft e Google, mentre a livello globale sono forti anche i cinesi, tipo Alibaba. I player europei sono pochi e marginali, e questo è già un aspetto del problema.
Non sono in grado di discettare circa le cause precise del crash del sito INPS, se sarebbe stato possibile evitare il disastro con una piattaforma cloud o semplicemente facendo funzionare meglio l’esistente. L’eventuale azione di hacker (a cui io non credo) dovrà anche essere accertata. Vi sarà sicuramente una severa inchiesta perché, a parte il disservizio, vi è stata una grave violazione della sicurezza dei dati degli utenti.
Ad ogni modo, l’incidente fornisce uno spunto importante per discutere su quali possano essere i veri problemi del sistema informatico e digitale italiano di fronte alle emergenze. In Italia abbiamo una rete Internet che tutto sommato tiene, sicuramente migliorabile sotto vari aspetti (soprattutto per quanto riguarda l’ultimo miglio, cioè le connessioni finali a casa dell’utente) ma comunque in grado di sostenere le emergenze. Ma questo è solo un lato del sistema di cui tenere conto, l’altro è quello della gestione dei servizi e dall’elaborazione dei dati. Per questi ultimi vi è bisogno di macchine e capacità di calcolo che possono essere gestiti in vari modi, e il cloud è solo una delle opzioni.
Il caso INPS ha dimostrato che in quel caso il sistema non è stato in grado di sostenere una situazione di emergenza scatenata da un c.d. “clickday”, cioè ad un evento eccezionale ma pur sempre prevedibile, perché il tutto è nato da un’iniziativa (il bonus Coronavirus) annunciata dal governo. Figuriamoci cosa potrebbe accadere in caso di eventi eccezionali ma imprevedibili.
L’INPS è un caso isolato? La pubblica amministrazione italiana è gestita come dei silos e questo modello si riflette sui relativi modelli informatici. Tali sistemi funzionano decentemente in una situazione di normalità ma possono andare in tilt in presenza di situazioni eccezionali. L’unico modo per saperlo è appunto quello di finirci dentro, in una situazione di crisi. L’esperienza di questi giorni consiglierà prudenza in futuro, in particolare nel non ricreare le condizioni per un altro “clickday”.
Ma il problema, potenzialmente, rimane, e quindi l’incidente INPS potrebbe e dovrebbe essere l’occasione, per tutta la pubblica amministrazione italiana, per rivedere i modelli organizzativi, i rapporti con i fornitori di tecnologie, e la preparazione del proprio personale. Il cloud dovrebbe essere un’opzione da estendere dove possibile, ma tenendo conto che in tale caso emergono nuove e differenti criticità: gli operatori cloud di grandi dimensioni sono tutti non-europei. Ma questa è un’altra storia.
- Blog Innocenzo Genna
- Giurista, esperto di Internet e telecomunicazioni
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