Giuseppe Conte dice che la pandemia di Covid-19 era “imprevedibile”. Non è vero, era stata largamente prevista. E non c’è bisogno di risalire alla famigerata terzina 11-30 di Nostradamus, né di attribuire doti profetiche alle visioni di horror di Stephen King ne “L’ombra dello scorpione”.
Il divulgatore scientifico americano David Quammen ci ha scritto un libro, “Spillover. L’evoluzione delle pandemie”, tradotto da Adelphi nel 2014. L’anno successivo Bill Gates ne ha rilanciato i contenuti sostenendo che “se qualcosa ucciderà 10 milioni di persone, nei prossimi decenni, è più probabile che sia un virus altamente contagioso piuttosto che una guerra”.
Nel 2018 L’EmergingRisks and Research team dei Lloyd’s Di Londra ha diffuso un dettagliato studio che prende le mosse da un punto fermo: “Una pandemia globale non è un rischio, ma una certezza”. Lo scorso settembre, un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità ha messo in guardia i governi del pianeta sull’incombere di “una minaccia molto reale di una pandemia altamente letale”. Concetto dettagliato nello studio che il Center for Strategic and International Studies consegnava al Congresso statunitense nell’ottobre dello scorso anno.
Tutti sapevano, nessuno, neanche il gigante americano, ha fatto nulla per evitare di essere colto impreparato. Per esempio, considerare di interesse strategico nazionale la produzione, o quantomeno lo stoccaggio, di ingenti quantitativi di mascherine e macchinari per la respirazione.
Quando si parla di “fine del potere”, o di “morte della politica” è questo che si intende: l’incapacità delle classi dirigenti di prevenire i problemi o governare i fenomeni; il loro vivere, accecati, alla giornata. Vale per l’Occidente, vale meno per i Paesi asiatici. Che infatti, come ha osservato il presidente della Società italiana di medicina ambientale, Ernesto Burgio, “avevano sviluppato piani per rispondere al virus”.
Si parla, in questi giorni, di un piano di edilizia e infrastrutture pubbliche: tanti piccoli interventi da avviare sull’intero territorio nazionale in tempi rapidi grazie alla trasformazione dei Comuni in stazioni appaltanti. Ne ho scritto lo scorso venerdì sul sito di Voce libera, il progetto è stato rilanciato dal presidente dell’Associazione nazionale costruttori, Gabriele Buia.
Antonio Decaro, presidente dell’Associazione nazionale comuni d’Italia, non chiede di meglio. Facciamolo. E se volessimo farlo pensando non solo al Pil, che non è poco, ma anche ai pericoli futuri che incombono su di noi, potremmo finalizzare questo sforzo alla messa in sicurezza antisismica del Paese. Parafrasando i Lloyd’s di Londra, infatti, “un terremoto in Italia non è un rischio, ma una certezza”.
Blog Andrea Cangini senatore Forza Italia
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L’ avevo già dichiarato in TV, che il nuovo Codice degli Appalti pubblici, il Decreto legislativo n.50 del 18 Aprile 2016, è stato un pasticcio normativo. Infatti dopo appena 12 mesi c’è stato il Decreto correttivo del Codice degli Appalti pubblici, il Decreto legislativo n.56 del 19 Aprile 2017. Come se non bastasse in questi ultimi tre anni ci sono state altre modifiche al Codice degli Appalti pubblici. Voglio rammentare che il precedente Codice degli Appalti pubblici, era il Decreto legislativo n.163 del 12 Aprile 2006 e che il Decreto legislativo n.50 del 18 Aprile 2016 era composto da 220 articoli. L’ Unione Europea attraverso tre Direttive, la Direttiva comunitaria n.23 del 26 Febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione., la Direttiva comunitaria n.24 del 26 Febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la Direttiva n.18 del 2004 della Comunità Europea., la Direttiva comunitaria n.25 del 26 Febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la Direttiva n. 17 del 2004 della Comunità Europea, ha prescritto per i Paesi membri, innovazioni sugli Appalti pubblici, da realizzare attraverso il recepimento negli ordinamenti nazionali, entro il 18 Aprile 2016. Inoltre voglio rammentare che in nove anni i 273 articoli del Decreto legislativo n.163 del 12 Aprile 2006 sono stati modificati ben 597 volte. Il Codice dei Contratti pubblici datato 2006, era costituito da 273 articoli e da 38 allegati, suddiviso in 5 parti, 8 Titoli, 22 sezioni e 16 capi. Il testo del Codice degli Appalti pubblici, comprendente oltre 1.500 commi, nel corso del tempo è stato poi modificato da 54 diverse norme, cui vanno aggiunte ben 19 leggi di conversione. Mentre oltre seimila e cento sono le sentenze di TAR e Consiglio di Stato e i Pareri dell’Autorità Nazionale Anticorruzione intervenuti sulla materia. Ancora nel 2010 è stato emanato il Regolamento applicativo del Codice degli Appalti pubblici, composto a sua volta da ben 359 articoli e 14 allegati, con il seguito di ben 13 leggi di modifica. In Sicilia ad arricchire questa confusione normativa, c’è stata anche la Legge Regionale di recepimento del Codice degli Appalti pubblici, varata nel 2011 con 35 articoli e il Regolamento attuativo con altri 32 articoli!