Quel silenzio sordo che uccideva la vita, le voci, il pulsare di note e rumori, il ritmo dell’andare convulso sarà un ricordo. Milano ha squadernato la sua essenza, l’opera geniale di un’architettura storica e imponente, vicoli e strade che parlano di ricordi e la miseria di un deserto, quasi fosse un’isola abbandonata. Non la vedremo mai più così, si spera. L’emarginazione della vita ha impolverato i simboli di una convivenza sociale che rappresentavano incontri, preghiera, mondo produttivo, riso, pianto, scambio. Quel silenzio ha uniformato la città, centro e periferia, ha apparentemente sedato problemi, disuguaglianze sociali e ambientali. Ma là nelle case chiuse c’è il fermento ossessivo del dubbio di ciò che sarà e potrebbe essere e chissà…riprenderemo, chi potrà, i riti del caffè al mattino, del lungo trasporto per andare al lavoro, chi potrà, la passeggiata nel parco, i piani di ripresa, chi potrà. Una parvenza di libertà che fa sognare la normalità. Oggi c’è un grande buio: è questa la governance che balla il cha cha cha senza decidere, è questa che vogliamo? La normalità poi vuol dire poco se è un tentativo di ritornare a quel passato “normale” che faceva esplodere criticità e disuguaglianze, insensibilità. Il silenzio ha forse aiutato a riflettere sulle fragilità e le ingiustizie in una città che divorava il tempo per essere “modello”, esempio. Il silenzio che ha emarginato Milano ha oggi l’esigenza di una vita a misura d’uomo per ascoltare voci, stimoli nuovi, progetti. Qualcuno lo spieghi a Sala.
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano