Protestano i ristoratori e i nuovi poveri senza lavoro e senza casa vivono emarginati in strada

Milano

Le luci non si accenderanno in Galleria. Il Salotto dei milanesi non decolla per il momento. E dopo le battaglie per accreditarsi uno spazio, un businnes che vive prevalentemente di turismo per il momento si arrende davanti alle regole obbligate dal distanziamento. A Sala non rimane che guardare, ma il virus detta prepotentemente le sue leggi. E meno male che non è Natale e non c’è da esibire luci e addobbi megagalattici. Riassumendo Savini, Il Gatto e la volpe, Biffi, Campari hanno ben presente quanto numericamente siano i clienti per avere un guadagno e ripetono che le nuove disposizioni sono ingestibili. «Per molti sarà un massacro, un salasso. Per i piccoli riaprire così è impossibile…Tra sanificazioni, mascherine, guanti, igienizzanti e taglio dei posti credo che buona parte dei ristoratori chiuderà per sempre. E io non farò più il cuoco – scherza – praticamente farò il controllore, mi metterò in cassa per accertare che tutto sia in sicurezza».’ Confessa a Il Giornale lo chef palermitano Filippo La Mantia. Ma con la protesta dei ristoratori, c’è la  rassegnazione dei nuovi poveri: ex baristi, camerieri o aiuti cuoco che hanno raggiunto con tanti sogni la Milano del lavoro con la speranza di costruire un futuro, hanno perso tutto. Vagano, dormono sui treni, incerti, impauriti per il timore di un’aggressione, profondamente delusi. Hanno raccattato cartoni quasi li proteggessero, cercano spazi chiusi nei giorni di brutto tempo, sono vittime di un’economia in crisi. La ripartenza  è una speranza e occorre rinascere in fretta: quella non è vita.

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