Tanto tuonò che piovve. Le proteste Americane, con il loro carico di devastazioni e saccheggi, si stanno avvicinando alla settimana di durata. E l’America è, sostanzialmente, stufa. Soprattutto perché qualsiasi giustificazione si potesse trovare i primi giorni si è perduta nel fumo e nel terrore. Né, stavolta, appare convincente dare la colpa al Presidente Trump. Facciamo un passo indietro. George Floyd muore a Minneapolis, Michigan. Il sindaco di Minneapolis è democratico. Come lo è il capo della polizia. Lo è il governatore del Michigan. L’Ex Attorney general, sostanzialmente cil capo dei PM locali, Amy Klobuchar, era proiettata per divenire la vice di Biden alle primarie.
In sostanza, le proteste e gli incendi, la battaglia antirazzista, non sta colpendo i Repubblicani. Ma i Democratici. I quali, vittime di una sindrome di Stoccolma totalizzante, non sanno reagire. Quelli locali schierano la Guardia Nazionale, quelli nazionali supplicano Trump di tenere bassi i toni. Aspirine di fronte ad un arto in cancrena. Ma se anche loro sono nel mirino, dietro le proteste non ci può essere il solito apparato di organizzazioni per i diritti civili. Non c’è Al Sharpton, non c’è quello che ha sostenuto il movimento Black Lives Matter. Oh, ci sono certo delle figure nere. Ma non sono di colore. Sono bianchi, perlopiù. E sono Antifa, in Inglese.
Chi sono gli Antifa? Prendete i nostri centri sociali. Calateli in una realtà decisamente più violenta della nostra. E toglietegli i luoghi fisici da cui prendono il nome. Non è una riflessione comune, ma il Leoncavallo è il Leoncavallo e non qualcosa di molto peggio perché ha una sede da difendere. In USA no. Sono i nostri anni 70 che tornano. Questo movimento, che in qualche forma è sempre esistito, ha preso forma dopo il 2016. è stato un Tea Party di sinistra che si è messo da subito in contrapposizione con la libertà dei suoi oppositori. Ed ha fatto della violenza diffusa il suo marchio di fabbrica.
Erano fuori dai campus universitari (e spesso pure dentro) per impedire ai conservatori di parlare. Aggredivano ed intimidivano i Repubblicani in contesti in cui erano in estrema minoranza. Ma, fino ad oggi, erano sostanzialmente privi della benzina per far scoppiare l’incendio. Quell’incendio che sta illuminando le notti di una decina di Stati Usa. Evidentemente hanno fatto il salto di qualità. Come riporta la polizia di Minneapolis, la maggior parte degli arrestati non vive là. Vengono da fuori, richiamati come falene dal grande falò.
In questo contesto Trump schiera la normativa antiterroristica. Ovviamente i membri della sinistra radical chic non l’hanno presa bene. Ma era prevedibile. Sono ostaggi di questa gente. Da una parte ne sono le vittime. Dall’altra ne sono affascinati. E quindi devono difendere quelli che danno fuoco alle loro città. Stanno cavalcando una tigre affamata e cercano di tenerla buona. Ma sappiamo tutti cosa succederà quando si fermerà. Anzi, cosa sta già succedendo.
Così si ripete il 2016, un Trump proiettato alla sconfitta contro avversari più competenti di lui che si trova improvvisamente (allora erano le violenze di Black Lives Matter) con un problema di legge e ordine davanti. Reagisce come una persona di buonsenso. I suoi avversari si dimostrano schiavi di una ideologia antiamericana. Trump esce vincitore dalle urne. L’ultimo passaggio è, ovviamente, tutto meno che scontato.
Ma il principale nemico del Presidente, il Covid, improvvisamente è sparito dai giornali. E la protesta non ha infiammato i cuori dell’America bianca e lavoratrice. Ma ha messo in seria difficoltà il giardino dove tutto è iniziato, quella Rust Belt che i democratici dovevano riconquistare a tutti i costi. E che non pare particolarmente felice della gestione della cosa.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,
Rampazzo, in poche righe hai scritto più balle di quante ne abbia dette Lance Armstrong nella sua intera carriera.
Ottimo articolo