Ma che cosa voleva spiegare Palamara? Il significato delle sue “espressioni improprie”?

Attualità

Indicare un personaggio con l’epiteto “merda” è solo una “espressione impropria” secondo il vangelo di Palamara. Si poteva dire cacca ad esempio, ma merda ha una valenza dispregiativa che, insomma, ci voleva. E il linguaggio triviale e tranchant delle intercettazioni probabilmente è solo un’abitudine “impropria”. Che sia “impropria” un’etica da maneggione, supponente, che presume di essere Dio e dispone, indirizza, cancella il merito con i suoi intrallazzi di nomine, di consigli tassativi, il giudice non se ne occupa poi tanto. Va a “Non è l’Arena” per chiarire, eventualmente chiedere scusa e l’unico suo segno di imbarazzo è quel labbro superiore morsicato impercettibilmente, quando le domande di Giletti esigono una risposta. Eppure sono 84 i magistrati che non sarebbero dove sono oggi se Luca Palamara e i suoi quattro colleghi di corrente non avessero puntato su di loro. E se sono là è per un sistema correntizio che va solo costatato ed è “proprio” della Magistratura. Un metodo che Palamara ha girato e rigirato pro domo sua senza riflettere troppo se fosse proprio o improprio.

Ma che cosa voleva chiarire? A me è sembrato uno scaricabarile, un nascondersi dietro a un sistema che vigeva da decenni, in cui lui viveva benissimo suggerendo di attaccare Berlusconi prima e Salvini poi, favorendo una corrente che, guarda un po’, è di centrosinistra. Ma aver falsato anni di vita politica non è solo un fatto “improprio”, ma è incredibilmente grave. Ha scritto “Assistere alla pubblicazione dei momenti più intimi della propria vita privata che coinvolgono estranei fa sempre male. Oggi sono dall’altra parte e accetto tutto questo perché non ho nulla da nascondere. Sono storture però sulle quali occorre nuovamente riflettere.” Sui nomi coinvolti chiarirà nelle sedi appropriate, qualche “leggerezza” c’è stata, ma, ci tiene a dirlo “Io sono uomo delle istituzioni”.  E questo non può non preoccuparci.

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