Prof. Remuzzi: il virus è cambiato in tre modi e con attenzione questa epidemia si può gestire

Scienza e Salute

Il Coronavirus è cambiato, e lo ha fatto, secondo il professor Giuseppe Remuzzi, “in tre modi”. Il direttore dell’Istituto Mario Negri ha spiegato ad askanews che “in primo luogo è cambiata la carica virale, e questa la considero la cosa più importante, perché la carica virale determina l’intensità della malattia. Quanto meno virus arriva, tanto più è probabile che si questo fermi nelle alte vie respiratorie senza arrivare a creare la polmonite drammatica che abbiamo visto. E questa minore circolazione è dovuta anche all’uso delle mascherine, al mantenere le distanze, al lavarsi di frequente le mani”. “La seconda possibilità – ha proseguito il professore – è che quasi tutte le epidemie si affievoliscono fino quasi a finire in niente. La terza possibilità è che non lo so, però è sicuro che siamo di fronte a una malattia diversa da parecchio tempo. Ho letto sul British Medical Journal che i politici, inglesi, sono più preoccupati dal numero dei tamponi che dall’andamento della malattia. Ma i tamponi hanno una affidabilità relativa, quello che conta è l’andamento della malattia”. 

 “La notizia di una malattia meno intensa deve essere uno stimolo ad avere entusiasmo, oggi capiamo che con attenzione questa epidemia si può gestire”. Lo ha detto ad askanews il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, in riferimento all’andamento della pandemia di Covid-19 in Italia. “Che la malattia sia cambiata completamente da 20 giorni – ha aggiunto Remuzzi – penso di averlo detto e scritto per primo. Non si presenta più come drammatica insufficienza respiratoria con 80 pazienti che si presentano contemporaneamente al pronto soccorso. In un certo senso non si presenta più del tutto, al massimo si manifesta sotto forma di piccoli problemi delle alte vie respiratorie”. In particolare, tra gli elementi che stanno componendo il quadro attuale, Remuzzi cita i risultati ottenuti dal professor Arnaldo Caruso dell’Università di Brescia, che indicano “tamponi positivi, ma con quantità di RNA molto bassa rispetto alle settimane precedenti C’è inoltre un altro aspetto interessante, se fosse frequente, ossia quello che anche in casi di forte positività attuale si è visto che il virus non riesce a uccidere le cellule che invece prima normalmente uccideva. Oggi inoltre – ha concluso il professore – un tampone positivo non è necessariamente collegato alla contagiosità”. (askanews)

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