«Bisogna davvero essere in malafede per affermare che in Francia la polizia esercita un terrore razzista sulle popolazioni provenienti dall’Africa e dal Maghreb». Così il filosofo e intellettuale Alain Finkielkraut commenta sul Figaro l’ondata di proteste e rivendicazioni che ha investito anche la Francia, come il resto d’Europa, dopo l’uccisione negli Stati Uniti da parte di un poliziotto bianco dell’uomo di colore George Floyd.
«IN FRANCIA SONO I POLIZIOTTI AD AVERE PAURA»
Cartelli con scritto «I can’t breathe», non riesco a respirare, le ultime parole pronunciate da Floyd prima di morire, «Non c’è pace senza giustizia» e «Black Lives Matter», le vite dei neri contano, sono stati sventolati dovunque in Francia. Se l’uccisione di Floyd è inaccettabile, afferma Finkielkraut, non si può negare che in Francia «la realtà è ben diversa. Nei quartieri cosiddetti popolari, sono i poliziotti ad aver paura: vengono attirati e sorpresi da imboscate, da lanci di pietre dai tetti. Se poi ci fosse razzismo istituzionale, si potrebbe gridare sotto il naso delle forze dell’ordine “poliziotti assassini”? Se lo Stato fosse autoritario, o facesse banalmente rispettare le leggi, i clandestini potrebbero sfilare a Parigi senza timore di essere posti in guardia a vista? La capacità degli esseri umani di raccontarsi della storie non conosce confini»
«L’ANTIRAZZISMO È IL COMUNISMO DEL XXI SECOLO»
Oltre a denunciare un’errata descrizione della realtà, davanti alla demolizione di statue in tutto l’Occidente, l’accademico di Francia si scaglia contro «l’antirazzismo, che è il comunismo del XXI secolo»:
«Nella maggior parte delle università del Vecchio continente, studiare la propria cultura d’origine significa accusarla, decostruirla perché da lì verrebbero tutti i mali: schiavismo, colonialismo, sessismo, omotransfobia. Combattere l’egemonia occidentale all’interno dello stesso Occidente: al di là della rivolta contro le violenze della polizia, ecco qual è l’obiettivo del nuovo antirazzismo».
«L’AUTORAZZISMO È LA NOSTRA PATOLOGIA»
E ancora:
«L’antirazzismo non è più la difesa dell’uguale dignità delle persone, ma una ideologia, una visione del mondo. In questa visione, la tratta negriera non occidentale non trova posto, né l’antisemitismo arabo musulmano, né quello di una parte della comunità nera americana. Il razzista è colui che vede ciò che vuole vedere. L’antirazzismo si è quindi trasformato: davanti alla grande migrazione, non si tratta più di accogliere i nuovi venuti e integrarli nella civiltà europea, si tratta di esporre le tare di questa civiltà per rendere giustizia a coloro che ne sono stati vittime».
E chi sono i nuovi antirazzisti che fanno a gara a chi si vergogna di più della propria identità? «La cattiva coscienza borghese condusse molti intellettuali a schierarsi con la classe operaia», conclude Finkielkraut. «Espiavano così i loro privilegi e trovavano una redenzione nella lotta per l’uguaglianza. Nella sinistra radicale di oggi, la colpa di essere bianco ha sostituito la cattiva coscienza borghese ma questo privilegio non può essere eliminato. La colpa dunque non può essere espiata, non c’è redenzione possibile. E coloro che sono affetti da questa colpa non fanno che zittirsi, cancellarsi o recitare all’infinito il catechismo che li condanna. Questo autorazzismo è la patologia più costernante e più grottesca della nostra epoca».
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