Ma gli Stati Generali a che servono?

Attualità

In politica, la differenza tra la realtà delle intenzioni e la realtà dei fatti è sempre molto grande.
Gli Stati generali convocati da Conte a Villa Pamphili, come molti hanno già commentato, ne sono esempio. In molti ritengono infatti che Conte li abbia convocati solo per mettere sotto i riflettori un grande evento di raccolta di idee, capace di distrarre l’attenzione dalle reali difficoltà del paese a riprendersi dalla crisi da Covid-19.


Tuttavia, si può ipotizzare che la scelta del Presidente del Consiglio ha a che fare non solo e non tanto con la distrazione delle chiacchiere sulla dura realtà (una a caso: la difficoltà, su cui il governo sta cercando ora di mettere una toppa, delle aziende che hanno esaurito la CIG ma non possono licenziare).

Gli Stati generali potrebbero avere a che fare invece con la questione della legittimazione delle decisioni politiche.

In teoria, a Villa Pamphili sono stati chiamati rappresentanti politici e di categorie sociali e esperti per avere un momento di confronto e ascolto delle istanze della società civile e delle istituzioni. Tuttavia, ad inaugurare l’evento è stato il Presidente del Consiglio con un lungo discorso di cose già decise da fare. Un discorso che era già, prima che gli Stati generali si avviassero, un cronoprogramma di iniziative già decise con una precisa idea politica (fatta di interventismo pubblico e politica industriale), opposto dunque a quello che avrebbe dovuto fare se gli Stati generali fossero stati convocati per ascoltare idee e poi decidere quale priorità politica dare loro. L’evento sembra allora, in maniera più affine ai suoi precedenti storici, un evento voluto per dare una legittimazione politica alle scelte del capo di governo di fronte alle stesse forze di maggioranza che lo sostengono, diversa da quella ordinariamente prevista dal nostro sistema parlamentare.


Una conferma potrebbe venire dagli ospiti che sono stati chiamati il primo giorno, ossia i rappresentanti delle istituzioni europee. Nella difficoltà di mettere d’accordo i partiti di maggioranza sul ricorso al MES, lo sprono di Von der Leyen, Gentiloni e Sassoli è un messaggio a nuora perché suocera intenda.


Si tratta indubbiamente di una questione politico/partitica, attinente ai rapporti interni al governo, ma forse anche di un sintomo più generale di come le dinamiche politiche tradizionali, in questo senso in maniera esattamente opposta a quel che avvenne nei precedenti storici di convocazione degli Stati generali, siano di fatto scavalcate da una interlocuzione diretta al di fuori delle sedi a cui siamo abituati, che rischiano così, senza che ce ne accorgiamo sufficientemente, di diventare dei feticci della democrazia.

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