Uno dei temi più caldi e di immediato impatto sulla vita dei cittadini che caratterizza lo scontro tra centrosinistra e la carcassa del centrodestra è quello sulla mobilità, a proposito del quale il primo si fa alfiere e portavoce di una “mobilità sostenibile”, laddove ovviamente sostenibilità è sinonimo elegante e politicamente corretto di autoreferenzialità, perché per quella fazione politica (indistintamente) ad esser sostenibile è sempre e a prescindere lo stile di vita che i suoi esponenti vorrebbero che gli altri conducessero perché fa loro comodo.
Ma questa non è certo una novità, a Milano la cosa è ben nota da tempo, dove pure di costruire la città modello (nel senso che come ce l’hanno in testa a sinistra si vede solo nei modelli e nei rendering, la realtà è un po’ diversa…) che le amministrazioni rosse hanno in testa ogni pretesto è buono, a partire dall’emergenza sanitaria in corso: bisogna evitare assembramenti e oggi il Sindaco si dice preoccupato per la situazione (immobili vuoti, negozi che vivevano sui lavoratori in difficoltà, ecc.) legata al cosiddetto “smart working”, quindi giustamente si ciclopedonalizza, di notte e alla chetichella, l’intera città, a partire da grandi arterie di scorrimento, con conseguente rischio di sovraccarico dei mezzi pubblici. Così i pendolari dovrebbero, in questo periodo e poi soprattutto in inverno, venire a lavorare a Milano, anziché farlo da casa, in bicicletta (o monopattino).
Ormai il tiro è stato alzato da anni, con il consenso di minoranze rumorose (la pedonalizzazione di Corso San Gottardo, dove la presentazione del progetto al quartiere non si è svolta soltanto alla presenza della claque abituale dell’assessore Granelli, il proposito è miseramente abortito tra le proteste, ma anche i frizzi e i lazzi, dei cittadini) e indipendentemente dalle conseguenze concrete che ciò comporta: un’ambulanza bloccata nel caos creato dagli ingorghi dovuti a scelte scellerate non rileva a fronte della goduria per aver punito gli automobilisti, colpevoli prima di tutto di abiezione morale (per certi fanatici gli avversari non hanno mai esigenze e non sono mai in buona fede, lo sosteneva già Silone a proposito dei compagni sovietici una volta rientrato da Mosca) e nella speranza che, a furia di vessazioni, questi rinuncino all’uso di quell’automobile che, per la sinistra che si vanta di non averne bisogno (come l’assessore Maran che si è spesso bullato di non aver neppure la patente, salvo essere quello che ha usato per più ore ogni anno l’auto di servizio con autista del Comune), sarebbe non un’esigenza, ma una inutile pretesa di comodità nonché sintomo di pigrizia, il tutto in danno di una non meglio identificata “collettività” cui l’automobilista sarebbe un soggetto estraneo.
Ma anche tutto questo è tristemente noto (da chi ne subisce le conseguenze, gli altri gongolano della loro vittoria). La notizia recente è che alcuni delle associazioni militanti ambientaliste (consustanziali alla sinistra), piccole ma feroci, che, beate loro, hanno il tempo di prendersi la briga di rieducare il prossimo e cercare di eliminare chiunque provi a opporsi alla loro “marcia su Roma”, mentre la maggioranza delle persone fatica a trovare anche solo mezz’ora di tempo al mese per abborracciare quattro righe sgangherate su Milano Post, hanno scritto al Presidente del Consiglio (niente meno che!) una lettera impregnata di astio e livore, loro stessi parlerebbero di odio se così si esprimesse un avversario, contro il Presidente dell’ACI reo di aver fatto una serie di considerazioni eminentemente pratiche sulle grottesche modifiche al Codice della Strada inopinatamente inserite nella legislazione emergenziale legata all’emergenza sanitaria in corso e talmente aliene alla materia da aver suscitato qualche blanda perplessità perfino nel Presidente della Repubblica meno interventista che la storia d’Italia ricordi, noto più per i suoi ieratici silenzi che per le sue esternazioni.
Il contenuto della lettera è già stato analizzato anche su queste pagine, inutile tornarci: quel che si vuole ancora volta sottolineare è come il mondo progressista, o sedicente tale (vuole riportare il paese all’età feudale), ricada sempre nel brutto vizio di buttare ogni argomento sul piano morale. Il problema, evidentemente, è pratico, ma per la sinistra e le sue associazioni di Pasdaran non si può parlare mai di problemi e soluzioni: così, dopo che nel patetico questionario del Comune di Milano sul “piano aria clima” era comparsa la tragicomica “giustizia climatica” (!?), adesso addirittura si legge di “violenza motoristica”. Quindi gli utilizzatori del mezzo a motore, o meglio, dell’automobile, perché tanta acrimonia non si rileva quando si parla di mezzi pubblici (eppure, purtroppo, di gente che perde la vita a seguito di sinistri con tram e treni non v’è penuria, ma a nessuno, se non forse a qualche grillino fan del reddito di cittadinanza e della decrescita felice, salta in mente la balzana idea di contestare l’esistenza di ferrovie, metrotramvie, ecc.) o dei monopattini elettrici con motori taroccati da fare impallidire i motorini anni ’80 dei peggiori tamarri della suburra e forieri di una quantità sterminata di incidenti (a onor del vero, non sono rari neppure i casi di pedoni feriti o uccisi perché urtati con violenza da biciclette lanciate a folle velocità in mezzo alla folla, solo che per bici, monopattini, ecc. non ci sono statistiche affidabili perché tali mezzi non sono assicurati, dettaglio non secondario, ma che sfugge ai più), si macchierebbero addirittura di “violenza motoristica”. Quindi il nodo non è neanche un “trade off” tra le esigenze di mobilità e i rischi che una società accetti di assumersi, ma proprio un fatto morale e ideologico: quella legata all’uso del mezzo di trasporto privato motorizzato (ovviamente coi motori “sbagliati”, i motori “giusti” sono pii e casti) è una forma di violenza. Del resto, queste associazioni che accusano il Presidente dell’Aci arrivando a invocarne la testa (con correlata soppressione dell’ente, per certa gente il vizietto dell’annientamento tramite carri armati, veri o figurati, del dissenso, non viene mai meno…) si presentano come coloro che si preoccupano “della vita delle persone” contro chi si preoccupa delle “multe agli automobilisti”, insomma, i portatori di un messaggio messianico, di bontà, di filantropico e disinteressato interesse per la vita contro i cinici, spietati, gretti e abbietti difensori degli automobilisti indisciplinati, dei “violenti della strada”.
Insomma, la solita, consunta, sgualcita, risaputa, triste retorica del mondo progressista, che evita sistematicamente di entrare nel merito dei problemi: tra punire e inibire l’uso sconsiderato e imprudente del mezzo di trasporto e vessare il lavoratore al volante con divieti assurdi e limitazioni irrazionali, finalizzate soltanto a imporre uno stile di vita – come se uno da un giorno all’altro potesse radicalmente mutare il proprio lavoro e modo di vivere, spesso neppure scelto (ma per certi fanatici, la necessità dell’uso dell’automobile è frutto di scelte di vita sbagliate e che, come tali, vanno punite e represse) – gradito ad un certo mondo che, evidentemente, se lo può permettere e ha la supponenza e presunzione di pensare che sia alla portata di tutti, ci sono enormi differenze. Differenze che chiunque può vedere, basta che si spogli del proprio bagaglio ideologico e inizi a concepire l’amministrazione della res publica come l’arte di risolvere i problemi del maggior numero di cittadini e non come lo strumento per realizzare le proprie irrealizzabili ubbie e ideologie.
Milanese di nascita (nel 1979) e praticante la milanesità, avvocato in orario di ufficio, appassionato di storia, Milano (e tutto quel che la riguarda), politica, pipe, birra artigianale e Inter in ogni momento della giornata.
Mi improvviso scribacchino su Milano Post perché mi consente di dar sfogo alla passione per Milano e a quella per la politica insieme.