Io amo Milano nello splendore delle sue architetture, nel gioco magico dei suoi Navigli, nella ballata cadenzata e a volte tronca del suo dialetto, ma amo teneramente i muri dei caseggiati periferici, con la loro storia, con la loro umanità. Scrivevo “Ci sono muri e muri. Muri levigati, impersonali, che riflettono il sole del futuro e muri feriti dalle crepe, con la muffa a divorare l’intonaco, lavagne che testimoniano un storia. Sono i muri invecchiati nell’abbandono e nell’indifferenza, rugosi come le mani di un vecchio che ha conosciuto la fatica, quadri vivi di colori superstiti dopo gli schiaffi del tempo. Sono muri lacerati che espongono con dignità la solitudine dell’assenza di cure, che graffiano la sensibilità con i ricordi di un passato gioioso, che sanno ancora custodire un’umanità dolente. E guardare, ascoltare… è leggere un uguale destino, senza una possibile via d’uscita, per l’uomo e per quei muri abbandonati. Eppure l’arcobaleno dei giorni non conosce l’emarginazione dei luoghi e delle classi sociali, nasce e tramonta anche in periferia. Eppure in questi muri si innerva una denuncia sociale che andrebbe ascoltata. Eppure questi muri sanno raccontare solidarietà e condivisione.” Eppure non è solo nostalgia, ma anche ribellione. Sono muri che aspettano una carezza.
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano