“Per fronteggiare la seconda ondata della pandemia è necessario che le residenze sanitarie assistenziali (Rsa) entrino a far parte del Servizio sanitario nazionale (Ssn). Non c’è tempo da perdere“, afferma a Interris.it l’ex ministro della Salute e scienziato di fama mondiale. Il professor Girolamo Sirchia, storico primario di ematologia al Policlinico di Milano, pioniere italiano delle trasfusioni nei trapianti di organi, nei quattro anni e mezzo (tra il 2001 e il 2005) da titolare della Sanità ha affrontato per intero l’emergenza Sars e la parte iniziale di quella dell’influenza aviaria. Portano il suo nome la legge che dal 2003 vieta il fumo nei luoghi pubblici e di lavoro e quella che regolamenta le pratiche di procreazione assistita proibendo la “provetta selvaggia“. Di seguito le proposte più significative.
Professor Sirchia, ieri in Giappone è scattato un piano straordinario per la protezione degli anziani in pandemia. Cosa bisogna fare in Italia per mettere in sicurezza le Rsa, le residenze sanitarie assistenziali che nella prima ondata sono stati i luoghi più duramente colpiti dall’emergenza sanitaria?
“Prima di tutto le Residenze sanitarie assistenziali devono entrare a far parte del Servizio sanitario nazionale (Ssn). Ora di fatto le Rsa non sono di nessuno e sono affidate in gran parte ai privati. A parte il nome, non c’è nulla di sanitario in queste strutture per anziani e disabili”.
Quali interventi sono necessari?
“Le Rsa vanno inserite in una rete territoriale. Adesso, in tempo di pandemia, viene bloccata la frequentazione delle strutture da parte di parenti e conoscenti. Proibire queste visite è crudele perché si tratta di persone che lì dentro sono sole. Ma ciò ha una ragione medica. Durante un’emergenza sanitaria grave come quella attuale è troppo rischioso consentire ingressi. Non si può tenere aperti ed esporre a contaminazioni esterne questi luoghi così fragili. C’è poi un’altra esigenza”
Quale?
“Nelle Rsa vivono soggetti particolarmente fragili. Uomini e donne vulnerabili che hanno costante bisogno di essere monitorati da personale medico e paramedico. Oggi purtroppo non è così. Nelle residenze sanitarie assistenziali i medici non visitano frequentemente gli ospiti e il personale infermieristico è presente a rotazione. Si tratta spesso di cooperative di paramedici. Ciò non garantisce un livello di assistenza e di cura adeguato a persone in condizioni di conclamata necessità. In sostanza le Rsa sono luoghi delicatissimi, eppure, inspiegabilmente, sono lasciati ai margini del Servizio sanitario nazionale”.
Perché?
“Il sistema sconta ritardi e lacune. Per garantire la necessaria assistenza ai loro ospiti, le Rsa dovrebbero essere subito collegate sul territorio alle case della salute. Il Paese deve prendersi cura dei più deboli. E in invece le Rsa sono una via di mezzo tra un albergo e un ospizio. C’è una grave carenza al loro interno di assistenza sanitaria. Ciò è inaccettabile perché, in piena crisi Covid, sono in pericolo persone che spesso hanno malattie croniche. Stanno insieme nelle residenze e così si contagiano anche per effetto delle loro difficoltà cognitive. Servirebbero un medico fisso nelle scuole e uno in ciascuna Rsa”.
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