La Milano ferita dalla pandemia sociale ha avuto voce. Le ha dato la parola il rapporto sulla povertà nella diocesi ambrosiana presentato ieri dalla Caritas, descrivendo le conseguenze della crisi sanitaria, divenute vere e proprie piaghe sociali persino nel territorio più ricco del Paese Secondo il rapporto, il coronavirus ha portato nuova povertà o ha peggiorato la situazione di chi già era in difficoltà. In tutto sono 9mila gli impoveriti da Covid. Si tratta di donne nel 60% dei casi, in maggioranza immigrati (ma 4 su 10 sono italiani) e cassintegrati che ricevano indennizzi modesti, spesso in ritardo e con importi insufficienti a reggere il tenore di vita delle aree metropolitane della diocesi dove spesso durante la chiusura primaverile si è stati costretti a scegliere di comperare il cibo o pagare l’affitto dell’appartamento o la rata del mutuo. Questo è uno degli aspetti più inquietanti dell’indagine, che porta il direttore della Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti a chiedere una revisione rapida del sistema degli aiuti pubblici per prevenire disordini e proteste degli esclusi. Tra i lavoratori ricorsi ai centri di ascolto, nei tre mesi del blocco di molte attività economiche, i più colpiti sono stati quelli impiegati nei settori della ristorazione (lavapiatti e camerieri), ospitalità (custodi, cameriere ai piani) e della cura alla persona (colf e badanti). La crisi del lavoro domestico da pandemia ha impoverito in particolare una comunità ben integrata come i filippini, divenuti il 17,2% degli immigrati assistiti, primo gruppo etnico. Nel 2019 erano solo l’1%.
(Avvenire)
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