Forse è vista da alcuni come una scommessa azzardata, ma l’ipotesi del Governo Draghi già premia la competenza e il merito. Di chiacchiere, intrallazzi, orizzonti di bassa cucina gli italiani sono arcistufi. La mediocrità della politica esibita da Conte e alleati, senza respiro, senza visione, ma con supponenza, non ha mai risposto alle esigenze del Paese ed è finita davanti a un baracchino in una piazza sceneggiata da Roccobello per lanciare l’eventuale alleanza PD e M5S. Un teatro da piazzista di paese. E qualcuno prima o poi si divertirà a definire il profilo dell’uomo Conte: ambizioso, trasformista, indeciso, rancoroso, ma con pochette, unica nota distintiva.
Scrive Molinari su Repubblica “A trovarsi di fronte sono due visioni opposte del governo: per Draghi in questo momento deve essere lo strumento per risollevare la crescita e garantire la salute dei cittadini mentre i partiti politici continuano a interpretarlo come se fosse un esecutivo come tanti altri: da far nascere attraverso trattative lunghe ed estenuanti su ogni dettaglio del programma. È come se l’uno e gli altri vivessero in due diversi tempi storici: Draghi immerso nel presente drammatico di una nazione con oltre 90 mila vittime di Covid-19 e l’economia da ricostruire grazie al Recovery Plan, con l’obiettivo di riforme strategiche in tempi brevi per andare incontro al rigido calendario Ue”. Da qui la mediocrità di pensiero e di pragmatismo dei giallorossi, intenti ancora a non accettare l’orizzonte ampio e necessario del “Migliore”.
Un Draghi che sa ascoltare, che pondera le scelte, che presenterà le più adeguate. Non si tratta di ingabbiare il suo programma in formule o preferenze partitiche: sarà un governo dei Migliori, come ha suggerito Berlusconi. Diverso l’atteggiamento della astensione della Meloni, un po’ inspiegabile, a cui risponde un appello della destra milanese, promosso dal consigliere regionale Beccalossi “A Draghi è affidata l’imponente missione di ricostruire una nazione funestata dalla pandemia e dalla crisi economica” e “l’utilizzo delle ingenti risorse europee richiederanno un forte processo di riforme e di innovazione…ostinarsi a invocare elezioni anticipate rischia di apparire come una fuga dalle responsabilità. Un atteggiamento che mal s’attaglierebbe a chi dice di avere il patriottismo nel proprio Dna politico-culturale”.
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano
Le risorse europee non sono poi così ingenti. I 209 miliardi saranno erogati entro il 2023, dovranno essere restituiti dal 2027 al 2058 su progetti sottomessi a condizionalità ed approvazione della commissione europea. Dei 209 miliardi 81 sono a fondo perduto ma vanno decurtati di 41 miliardi che l’Italia dovrà versare come contributo al Fondo.
Non è quindi detto che arrivino tutti e 209 e comunque otteniamo un prestito su più anni, su progetti determinati, da realizzare puntualmente per obbiettivi e tempistiche. Visto che non siamo mai riusciti a spendere completamente i fondi Europei, sembra proprio un progetto fatto su misura per noi…
Ma l’Italia cosa dovrà fare concretamente nei prossimi mesi? Come tutti gli altri Paesi dovrà presentare un piano coerente con le raccomandazioni specifiche che la Commissione dà a ogni singolo Paese. Il piano per la ripresa sarà valutato dalla Commissione entro due mesi dalla presentazione. Ma soprattutto c’è scritto nel documento finale che nella valutazione il punteggio più alto “deve essere ottenuto per quanto riguarda i criteri della coerenza con le raccomandazioni specifiche per Paese”. Il riferimento alle raccomandazioni è qui. Considerando che quelle del 2020 non valgono per via del Covid, bisogna andare a riprendere quelle del 2019. Eccole le richieste: contrasto all’evasione, alla corruzione e al lavoro sommerso, ma anche riduzione dei tempi della giustizia e politiche attive per quanto riguarda il mondo del lavoro. Soprattutto c’è una riduzione della spesa pubblica che deve portare a una correzione strutturale (quindi a una manovra) pari allo 0,6% del Pil. E poi le entrate straordinarie devono andare ad abbattere il debito, ma è necessario anche tagliare le agevolazioni fiscali e “razionalizzare” le aliquote Iva. Tradotto: l’Italia deve fare una riforma della giustizia, ma anche una del fisco e una del lavoro. Tra gli elementi che impattano sulla valutazione positiva ce ne sono di altri altrettanto impegnativi: il potenziale di crescita, la creazione di posti di lavoro e “la resilienza sociale ed economica dello Stato membro. E anche “l’effettivo contributo alla transizione verde e digitale” rappresenta una condizione preliminare per ottenere il disco verde.
Ora domandiamoci, 40 miliardi a fondo perduto valgono la gestione dell’Italia eterodiretta da Bruxelles?
E ancora, ma Draghi è venuto solo per 4 miseri soldini europei o per cosa? Senza dimenticare i 30 denari appena incassati Renzi.