E’ passato un anno con un secolo di minuti, con il fiato rotto in attesa di notizie, in attesa di numeri che indicavano contagi, morti. Ma si ballava tra l’angoscia e la speranza, richiamando un coraggio difficile da ritrovare nel deserto dei rapporti. Il silenzio e le lunghe ombre delle strade, delle piazze, dei vicoli amici indicavano l’assenza della vita. Era un tempo che trascorreva sospeso in un’attesa saturata da slogan di ottimismo, aggrappati ai simboli di una religione, confidando nei simboli che non possono tradire. E la solitudine suggeriva canti corali sui balconi, violini suonati e struggenti sui tetti, preghiere di fede.
Il nemico aveva armi sconosciute e letali, giocava a rimpiattino con uno sberleffo, capovolgeva senza pietà un modo di vivere, si insinuava senza preavviso. Non era peccato avere paura, e nessuno osava colpevolizzare le insicurezze: l’incognita di un mostro deflagrante diventava incubo. Poi il tempo vide un sole all’orizzonte, e il singhiozzo nelle azioni, nei gesti, promise che sì, avremmo sconfitto quel nemico. E ora? Ora che abbiamo costruito l’arma per vincere la battaglia, dobbiamo ancora attendere la macchina organizzativa che ci permetta di combattere?
Le rinunce alla libertà, all’abbraccio, al dialogo hanno annientato una parte di noi, hanno impoverito la galassia di sorrisi che era vita quotidiana, fiducia nel futuro. E non è retorica quel “vogliamoci bene”, quel lavoriamo insieme, quel voler procedere uniti, che da tante parti si sente predicare, ma un’iniezione di vero coraggio.
E’ passato un anno, ora deve vincere la vita
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano