La censura è tornata in Occidente sotto le vesti di quella para-religione di sinistra che viene chiamata politicamente corretto. Con la censura si diffonde anche l’autocensura, perché molti hanno paura di essere denigrati come razzisti, colonialisti, imperialisti, omofobi, transfobi, islamofobi, che sono i nuovi peccati capitali del decalogo di quella religione illiberale e anti-occidentale che è appunto il politicamente corretto. Conosco molte persone, in entrambi i lati dell’Atlantico, che hanno paura di scrivere quel che pensano davvero. Sono soprattutto scrittori, professori, scienziati, ricercatori, giornalisti che si autocensurano, perché hanno pensieri non politicamente corretti e sono terrorizzati dai casi esemplari di loro colleghi che hanno subito ostracismi, talvolta dopo una lunga ed aspra gogna pubblica e sono stati esclusi dallo spazio pubblico o costretti ad autoescludersi dimettendosi.
Conosco alcuni scienziati, medici, avvocati, e alcuni omosessuali, transessuali liberali, che credono nella scienza e nel diritto e che ritengono che esistano differenze biologiche tra uomini e donne, che il sesso non sia una costruzione sociale o culturale, che i bambini abbiano bisogno di un padre maschio e di una madre femmina e che la gestazione per altri (eterologa) sia uno sfruttamento delle donne e culmini in un commercio di bambini. E non osano dirlo apertamente, perché temono le reazioni delle lobby Lgbt e dei media che a quelle lobby tengono bordone.
Conosco sociologi ed economisti che ritengono una vera follia insostenibile la politica della sinistra post-comunista e cattolica di porte e porti spalancati e di accoglienza indiscriminata degli immigrati. Alcuni di essi ritengono che sia in corso un progetto di islamizzazione demografica e culturale dell’Europa. E non osano scriverlo. Conosco professori che non si possono concedere di fare libera ricerca su temi “sensibili” quali la storia delle crociate, dell’Inquisizione, del colonialismo, dell’imperialismo, del comunismo e del fascismo. Ne conosco altri che non si sentono liberi di scrivere liberamente su temi antropologici e biologici. Conosco giornalisti che credono che il loro lavoro sia dire la verità sul mondo, anche quando non conviene, ma non ritengono di poterlo fare liberamente. Molti giornalisti riluttano a scrivere di questioni connesse con l’omosessualità o di islamizzazione dell’Europa perché hanno il (giustificato) timore di incorrere nell’accusa di omotransfobia, di islamofobia o di razzismo o di fascismo.
In Italia, in particolare, molti giornalisti riluttano a criticare i magistrati anche quando sono evidentemente influenzati nel loro lavoro dalle proprie ideologie o appartenenze politiche, perché sanno che incorreranno ineluttabilmente in costose querele. Tutti questi timori e autocensure che ho menzionato affliggono, soprattutto, intellettuali liberali o conservatori, ma anche progressisti che non sposano ogni singolo aspetto della nuova ortodossia dell’estrema sinistra. Eppure, viviamo nella società più libera della storia del mondo. Non ci sono i gulag sovietici, né i lager della Germania nazista, né i generali (e i desaparecidos) del Sud America, né il Minculpop del fascismo. Non esistono più né le gogne, né le cacce alle streghe e agli eretici, né esiste più l’Inquisizione con i suoi autodafé, i suoi roghi, e la sua ostilità verso la scienza ed il libero pensiero. Non c’è nessun Grande Fratello che imponga un retto-pensiero, una neo-lingua e che punisca gli psico-reati come nel romanzo “1984” di George Orwell.
Eppure esistono fenomeni che ci richiamano alla mente e fanno tornare in voga parole come “pensiero unico”, “ortodossia”, “dissidenti”, “liste nere”, “inquisizione mediatica”, “reati d’opinione”, “gogne mediatiche”, “cacce alle streghe”, “tribù (politiche)”, “doppi standard”, “fake news”, “anti-vax”, “anti-scienza”. Le parole e i concetti di “correttezza politica”, sinonimo di “ortodossia di pensiero” tornano di moda nel mondo intellettuale occidentale, come ai tempi staliniani di Andrej Zdanov e del suo occhiuto controllo su ogni produzione culturale. Non esiste oggi in Occidente né uno Zdanov, né un Grande Fratello, ma esiste uno Zdanov collettivo, un Grande Fratello collettivo, una specie di “orchestra rossa” fatta da “intellettuali collettivi”, che guardano e puniscono in coro. La “cancellazione” della cultura classica e dei grandi personaggi del passato negli Usa viene usata addirittura come stendardo di una “cultura” da alcuni gruppi di professori e studenti e dagli Usa tende a diffondersi in Europa. La “correttezza politica” e la “cancellazione” sono utilizzate col medesimo proposito con cui nelle società premoderne si mettevano al rogo le streghe: per incutere paura nei cuori, in maniera da imporre il bavaglio ed indurre molti a tacere ed a stare a guardare ed incoraggiare altri a portare il loro legnetto, per ravvivare il fuoco dei roghi.
Sono pochi coloro che si dedicano concretamente alla caccia alle streghe, ma c’è un ampio gruppo che si mette al loro seguito. E c’è un gruppo ancora più ampio che resta in silenzio. C’è per fortuna anche un gruppo minuscolo che si oppone alla caccia. Alcuni giornali e giornalisti critici (per fortuna ce ne sono ancora) denunciano la malattia interna dell’Occidente che si autoflagella, un veleno che si diffonde ad opera dei suoi stessi chierici e che lo sta lentamente trasformando in una società in buona parte illiberale e premoderna. Quei giornalisti sanno di rischiare di poter essi stessi essere additati al pubblico ludibrio come streghe. Ci si chiede: quanto resisteranno ancora? O quando saranno essi stessi chiamati “streghe” ed avviati al rogo (mediatico, ben s’intende). I prossimi potremmo essere noi.
Il liberalismo è assediato da un veleno, dalla nuova ortodossia illiberale, che si presenta come iper-liberale e iper-democratica e che si è radicata dappertutto, comprese le stesse istituzioni culturali incaricate di diffondere il pluralismo della cultura e delle opinioni. È la nuova religione neo-zdanoviana del politicamente corretto. Questa ideologia si ammanta dell’idea di un “nuovo umanesimo” post-cristiano e post-liberale, che sarebbe ancora più universalista e più inclusiva dell’universalismo cristiano e liberale. Ma non dice mai in cosa consisterebbe questo nuovo umanesimo. Non può dirlo perché non esiste, dato che nulla può essere più inclusivo dell’affermazione cristiana della sacra dignità di ogni essere umano e nulla può essere più universalista della affermazione liberale dell’eguaglianza nei diritti umani di ogni individuo a prescindere da sesso, razza, religione, cultura e opinione.
Ma intanto quell’ideologia, nonostante il suo nullismo, persegue e persiste nella cancellazione (nichilista, appunto) della cultura occidentale, cristiana e liberale. Si ammanta del linguaggio del progresso, dell’anti-razzismo, dell’anti-discriminazione. Essa promette un futuro radioso della “fusione” delle varie civiltà e culture, di fratellanza universale, che chiama “inclusione”. Ma essa minaccia di far rivivere le divisioni culturali, religiose e persino razziali, e di trascinarci in un passato premoderno e tribale di censure, autocensure e oscurantismo. E di conflitti, dove siamo tutti schierati uno contro l’altro secondo la tribù di appartenenza. Molti si lasciano ingannare dalle etichette che quell’ideologia ostenta e dalle maschere dietro cui si nasconde il suo volto. È il volto demoniaco del potere per il potere.
È questo il vero volto che si nasconde dietro le ubbìe del politicamente corretto. Esso mira costantemente a presentare normali opinioni come presunte malattie psichiatriche (omotransfobia, islamofobia). Alla maniera di Zdanov e di Leonid Breznev. E ad introdurre negli ordinamenti giudiziari liberali sempre nuovi reati di opinione che mettono o inducono al bavaglio e all’autocensura. È questo il caso dell’Italia dove si discute sul cosiddetto “Ddl Zan” che, se approvato anche al Senato, sanzionerebbe come “incitamento alla discriminazione” anche legittime opinioni come quella, per esempio, secondo cui “un bambino ha bisogno di un padre ed una madre” o quella che afferma la realtà e la rilevanza del sesso biologico, o che la maternità surrogata conduce al commercio dei bambini. Vero o falso, Enrico Letta? (L’Opinione delle Libertà)
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