In Italia troppi i talebani culturali ossessionati dal “non si può fare”

Attualità

Quante reazioni scomposte, offese, retoriche alla proposta di Carlo Calenda per un Museo Unico di Roma

Il cancro non sa di essere un cancro. Il virus non sa di essere un virus. Uno zombie non sa di essere un morto vivente. Ogni malattia (anche sociale, anche culturale) non ha coscienza della propria pericolosità, della propria letalità. La burocrazia non sa di essere un cancro per l’Italia, non sa di essere una metastasi che tutto blocca e, quindi, tutto uccide. No, il pensiero burocratico è talmente concentrato su sé stesso che neanche si rende conto di quanto sia dannoso per una comunità umana. Dannoso perché lento, perché conservativo, perché rigido. E perché stupido.

Un esempio tragicamente calzante? Le reazioni scomposte, offese, retoriche alla proposta di Carlo Calenda per un Museo Unico di Roma. Al di là di un’idea che apre finalmente il dibattito sulla debolezza turistica di Roma che prosegue ormai da anni, vale davvero la pena scandagliare le risposte piccate di troppi talebani culturali che si autoproclamano depositari di una verità tanto assoluta quanto dannosa. E anche sterile.

Perché il cancro burocratico ha ormai le sue metastasi in tutto il corpo sociale. In questi giorni abbiamo potuto sentire reazioni di questo tenore: “non si può fare perché le collezioni sono di proprietà di enti pubblici diversi” (!); “non si può fare perché è così da secoli”; “non si può fare perché i musei non servono ai turisti”; “perché nel Cinquecento, nel Seicento, nel Settecento…”; “non si può fare perché bisogna salvaguardare quel che è stato”; “non si può fare perché la cultura non deve pensare all’economia”; “non si può fare perché piccolo è bello”; “perché il rispetto della storia…”; “perché si è sempre fatto così…”: “perché la prassi, i protocolli…”.

Insomma un crogiolo reazionario che vuole tutto fermo, tutto immobile, tutto morto. Il cancro che uccide l’Italia è qui, in questo atteggiamento talebano che rifiuta ogni prospettiva futura, ogni contaminazione culturale, ogni costruzione di nuova storia, di nuove storie.

Un museo, un nuovo museo, cos’altro è se non una cattedrale laica, uno strumento per lasciare un segno nella storia, per rendere viva una civiltà? Ecco, il cancro burocratico è tutto in questo rifiuto di nuove storie, di nuove possibilità e, quindi, di nuove opportunità. A ben vedere, è lo stesso brodo culturale che dice no alla costruzione di nuovi stadi (nuovi colossei), nuovi ponti, nuove strade, nuove ferrovie… che dice no, in definitiva, all’idea che la storia non sia finita qui, in un eterno presente senza futuro.

Filippo Rossi   Leader Buona Destra (HuffPost)

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