Per quasi 50 anni, sull’angolo tra via Fiori Chiari e via Brera, si trovava fin dalle prime ore del mattino e sino al tardo pomeriggio, il carrettino a pedali di Michele “il rigattiere”.
Al secolo Michele Lamantea, nato nel 1927 a Trinitapoli, non lontano da Foggia, abbandonò la scuola quasi subito, tanto che rimase incapace di scrivere per tutta la vita, per lavorare come garzone di un panettiere prima e nei campi poi e infine partì ancora ragazzino per Milano, viaggiando su un carro merci e arrivando in città senza nemmeno una lira.
Per i primi quattro anni dormì per strada, mangiando nelle mense dei preti e svolgendo lavori di ogni genere. Riuscì poi ad affittare una stanza in un abbaino di corso Como al 9, quando era ancora una strada popolare, piena di piccoli appartamentini ricavati nei solai e nei sottotetti, con le case di ringhiera e ricca di una umanità che spesso sbarcava il lunario inventandosi un mestiere. E così aveva fatto il giovane Michele, diventando uno “strascée”, erede di quei robivecchi così caratteristici nella Milano a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Se in origine lo “strascée” comprava gli oggetti rotti o da buttare via, li riparava e poi li rivendeva, Michele piano piano si specializzò nel recuperare, sistemare e rivendere pezzi d’arte come lampade liberty o “ministeriali”, busti di bronzo, lampadari, vasi e oggetti vari, spesso pezzi unici che recuperava in qualche sgombero di solai e cantine, rimetteva a lucido e poi rivendeva a buon prezzo, per lui, a Brera. Con i guadagni dei primi anni potè comprare l’abbaino dove viveva e anche quello a fianco, unendoli, e un box in via De Cristoforis, all’angolo con via Rosales, usandolo magazzino e per riparare gli oggetti.
Nel 1964 si sposò e andò a convivere con la moglie, Rosa Stella, in via delle Forze Armate, ma il matrimonio naufragò presto in una mare di violenze e di deliri di gelosia da parte dell’uomo, tanto che venne rinchiuso per mesi al manicomio Paolo Pini. Quando uscì si chiuse in casa senza far più rientrare la moglie, minacciandola con un coltello e una spranga. Venne così arrestato e rinchiuso per quattro anni in manicomio criminale; dopo il rilascio riprese a vendere merce a Brera e tornò a vivere in corso Como.
Col passare degli anni e dei decenni Michele venne “adottato” dagli abitanti del quartiere e dai tanti studenti e docenti dell’Accademia di Belle Arti.
La sua figura, alta, secchissima, avvolta in pesanti maglioni anche in estate, con lunghe sciarpe e i bizzarri cappelli, prima una tuba e negli ultimi anni una bombetta, divenne presto una sorta di punto fermo di Brera, assieme al Jamaica, all’Accademia, alle cartomanti…
Grandissimo amante degli animali, senza alcun distinguo, viveva con cani e gatti nel minuscolo appartamento di corso Como.
Posseduto dal demone del gioco, Michele era noto in tutte le ricevitorie del centro per giocare assiduamente al Totocalcio e al Lotto e negli ultimi anni al Superenalotto. Sosteneva di aver dilapidato centinaia di milioni di lire in scommesse.
Nel 1981 il fotografo Enzo Nocera scattò 122 ritratti a personaggi noti o sconosciuti del quartiere di Brera e il volto di Michele, con la tuba in testa, fu uno degli scatti più riusciti e apprezzati della mostra fotografica “Gente di Brera”, che ebbe un gran successo, tanto da venire riproposta ciclicamente nei decenni successivi.
Il 4 dicembre 2001, dopo aver vinto al Lotto, si recò in una tabaccheria di via San Marco per riscuotere la vincita. Uscito dal locale iniziò a camminare costeggiando le auto parcheggiate, per raggiungere il suo carretto lasciato in doppia fila.
Una smart guidata da una donna uscì in retromarcia colpendolo in pieno e facendolo cadere a terra, sbattendo violentemente la testa. Michele Lamantea entrò in coma, per morire il 22 gennaio 2003, poche ore prima del suo settantasettesimo compleanno.
A Milano lasciò due nipoti, un ispettore di Polizia e un noto ristoratore con decenni di esperienza.
Il 26 gennaio si celebrò il suo funerale, ovviamente nella chiesa di San Marco; la bara era ricoperta da fiori rossi e arancioni e sopra di essi vi era la lunga tuba nera. Le esequie, organizzate dall’Associazione Brera, guidata dal baritono della Scala Giuseppe Zecchillo, videro il primo violoncello della Scala eseguire l’Ave Maria di Schubert e musiche di Bach.
Su Youtube è reperibile un bellissimo documentario di Isabel Briskorn, che ha passato settimane vivendo con Michele poco prima della sua morte.
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