Ma che giudizio dell’Italia, che lezione di vita, che idea di giustizia si sono fatti i cittadini, i giovani, gli stranieri che ci osservano, dopo la sentenza che ribalta radicalmente le precedenti condanne sul rapporto Stato-Mafia? Che fiducia potranno avere nei tribunali, nelle classi dirigenti, nelle istituzioni, nel prossimo, dopo che hanno visto una terribile sentenza di condanna, scontata sulla pelle dei condannati, e poi il suo totale capovolgimento?
Non entro nel merito del processo e dei gradi di giudizio e non conosciamo le motivazioni di quest’ultimo pronunciamento. Non esprimo giudizi da profano su cose che non so. Mi limito semmai a notare che un processo sulla trattativa fra Stato e Mafia ha senso se coinvolge i vertici istituzionali dello Stato. Si può stabilire un patto tra la Mafia e lo Stato senza che siano in vario grado coinvolti, o perlomeno a conoscenza, i massimi rappresentanti del medesimo, vale a dire Capi dello Stato, Presidenti del consiglio, Ministri, comandi supremi delle forze dell’ordine? Ma a parte questa perplessità di partenza, mai spiegata, che rende più misterioso il rapporto tra Mafia e Stato, non voglio ingrossare le fila del partito dei giuristi della domenica con sentenze random da passeggio.
Reputo irrilevante esprimere le mie simpatie e antipatie in merito alla vicenda. Posso dire a puro titolo di curiosità e per onestà d’intenti, ma del tutto trascurabile, che mi fa piacere vedere assolti il Colonnello Mori e gli altri carabinieri coinvolti, anche per un residuo, tenace senso dello Stato e rispetto per l’Arma. E mi fa piacere che sia stato dichiarato estraneo ai fatti Marcello Dell’Utri, non solo per complicità onomastica e concorso esterno in bibliofilia (abbiamo lo stesso nome e amiamo i libri) né solo dal punto di vista umano, considerando gli anni di galera che si è fatto; ma perché mi è parso un uomo di spessore e di sostanza, non certo paragonabile ai cortigiani e alle badanti di Berlusconi. Così come devo confessare, per quel che vale, cioè nulla, di aver visto con piacere zittiti gli sciacalli e le iene che da anni linciano i loro bersagli a mezzo stampa e tribunali e li servono alla gogna con aglio, odio e ghigliottina.
Ma tutto questo, torno a dire, non ha nessun rilievo ai fini di quel che mi pare invece importante sottolineare. Perché la cosa peggiore, a me pare, è l’effetto devastante che le terribili condanne e i drastici rovesciamenti hanno sulla tenuta di un paese e nella coscienza collettiva e individuale, nel comportamento e nel giudizio dei cittadini. Se una persona può diventare il peggior delinquente da un giorno all’altro, finire sbattuto alla gogna e in galera e starci lì per anni, mentre il coro degli avvoltoi continuava incessante a intonare il “crucifige”, “troppo poco”, “adesso tocca agli altri”; e poi d’incanto trovarsi assolti e scagionati, vittime e martiri della malagiustizia, che cosa suggeriamo di pensare ai cittadini? Uno, che la giustizia è puro arbitrio, malevolenza o benevolenza, decreto per volontà divina dei padrini onnipotenti. Due, che risponde a criteri politici, ideologici, di amicizia e inimicizia, di appartenenza e di clan (dunque giudizi di tipo mafioso) e non certo a questioni di giustizia, fatti e verità; e tutto muta col mutare dei rapporti di forza, degli interessi del Sistema, della prevalenza dei clan (simili a cosche). Tre, nella fattispecie, che ieri si voleva colpire Berlusconi e oggi magari si vuole salvarlo in cambio di qualcosa. Si può pensare a un conflitto interno alla magistratura o a una medesima strategia che si serve a volte degli uni, a volte degli altri, per perseguire scopi che nulla hanno a che vedere con la giustizia e la verità dei fatti. A queste farneticazioni si giunge, con onesti intenti e sconfortati ragionamenti, se si vede così capovolgersi la verità e il giudizio sulle persone. Comunque la giustizia non esiste e con lei non esiste la realtà dei fatti ma la volontà di potenza di chi ne dispone; e non esiste la verità ma solo il punto di vista e d’interesse che s’impone. Relativismo assoluto al servizio di un assolutismo giudiziario. Pirandelliana questa giustizia, ma anche mafiosa.
A questo punto l’unico consiglio che ne deriva è non farsi scoprire, cercare complici giusti, farsi le giuste amicizie, buttarsi dalla parte giusta. Il resto mancia. Nessuna osservanza delle leggi e rispetto del prossimo ma uso di mondo, saper navigare, capire da che parte stare e in quale preciso momento. Fatti furbo.
Da anni l’Italia è sottoposta a uno stress giudiziario continuo tra sentenze capovolte, buoni e cattivi a correnti alternate, trame giudiziarie e associazioni mafiose di magistrati, intercettazioni che dimostrano come si possa decidere di salvaguardare o massacrare la gente, indipendentemente dai fatti.
Se l’Italia si è imbarbarita in questi anni ci sarà pure un concorso in colpa dei social, il primato dell’ignoranza saccente e sovrana, che abbiamo più volte denunciato. Ma il Pesce Italia puzza dalla testa: il primo degrado è nella sua classe dirigente, e la Magistratura riesce perfino a scalzare il primato della Politica, della Burocrazia o della Finanza senza scrupoli. Un paese così non può avere un futuro se è possibile invertire con vertiginosi testacoda il bene e il male, il giusto e l’ingiusto.
Perciò quella sentenza può pure farci piacere, per le trascurabili ragioni che vi ho detto, e può davvero segnare – si spera – la fine del colpismo, ovvero la stagione dei colpevoli a priori, grazie all’uso criminale e golpista della giustizia; ma il decorso complessivo della giustizia è così tortuoso e malefico da istigare il paese alla delinquenza e all’anarchia permanente. E questo esito spaventa perfino di più dell’uso infame della giustizia come clave politica, nella lotta per la conquista del potere. “La giustizia, questa eterna fuggiasca dal campo dei vincitori” (Simone Weil).
Blog Marcello Veneziani
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