Corrado Ocone “Il radicale ripensamento sul processo di globalizzazione”

Attualità

C’è una connessione fra il processo che in termini sociologici chiamiamo globalizzazione e il dibattito che animò qualche anno fa la filosofia italiana intorno all’alternativa fra postmodernismo e neorealismo? A prima vista, sembrerebbe di no.

Mentre il processo di globalizzazione è un fenomeno che, in modo approssimativo, suol farsi iniziare dagli anni Ottanta del secolo scorso; la discussione sul postmoderno e sul realismo concerne problemi filosofici vecchi come il mondo (almeno quello occidentale): dal significato da dare alle idee di realtà e di verità al rapporto fra l’io interpretante e l’oggetto interpretato. Eppure, andando un po’ oltre le apparenze, senza nemmeno forzare più di tanto la mano, si possono interpretare le idee postmoderniste (che avevano avuto in Italia in Gianni Vattimo col suo pensiero debole il massimo interprete)  e quelle neorealistiche (rappresentate da Maurizio Ferraris), almeno per quel che concerne le loro conseguenze pratiche, come due diversi, opposti ma speculari supporti alla mentalità globalista. La quale, come ho già altre volte messo in evidenza, si è esplicitata in una sostanziale messa in scacco della politica ad opera di due dispositivi neutralizzanti del conflitto di  cui uno fondato su base eticistico-giuridica e l’altro su base economica.

Da qui il trionfo di due opposte, ma appunto complementari, retoriche: la prima, quella di un generico “dirittismo” a base politicamente corretta, cioè fatto di difesa di identità particolari, e spesso organizzate, da proteggere perché ritenute, poco importa se a torto o ragione, storicamente “discriminate”; la seconda, di una sostanziale e acritica apologia non del mercato classico ma dei mercati finanziari con le loro logiche transnazionali e il predominio in esso sempre più evidente di imprese multinazionali più forti spesso dei singoli Stati che dovrebbero normarle.

Cosa c’entri col postmodernismo il “politicamente corretto” non è difficile capirlo: se la realtà è una mia costruzione, se essa si svolge lungo l’asse di sempre diversi e liberi “giochi linguistici”, è evidente che il suo referente ultimo è un individuo narcisisticamente atteggiato e sradicato da ogni radice o tradizione. Costui costruisce le proprie identità fluide scegliendo capricciosamente in una sorta di supermercato delle idee o meglio dei gusti. Idee tutte “deboli” per ché non più metafisicamente giustificabili. Una situazione che poi è a ben vedere perfettamente funzionale alle logiche di mercato basate su una sorta di primazia dell’individuo-consumatore. Esse per giungere a buon fine hanno necessità non solo e non tanto di favorire attraverso accorte operazioni di marketing le scelte del consumatore ma anche di oggettivarle, standardizzarle, targettizzarle. E cosa se non un processo di astratta oggettivazione, di realismo più o meno ingenui , fosse pure quello dei dati (non a caso la prospettiva di Ferraris è evoluta in una teoria della “documentalità”), può permettere queste operazioni e questa completa disponibilità per noi del dato reale? Come si sa, la globalizzazione si è tanto rapidamente affermata, negli ultimi decenni, quanto altrettanto precocemente ha mostrato di essere soggetta a fattori di crisi non congiunturali ma strutturali. Soprattutto dopo la recente pandemia, l’ultima e forse più insidiosa delle crisi globali che abbiamo vissuto (e che annoverano fra le altre anche quella terroristica e quella finanziaria legata alle bolle speculative), il processo di globalizzazione viene ora radicalmente ripensato. È inevitabile che anche tutte le ideologie che hanno fatto ad essa da supporto sembrano essere entrate irrimediabilmente in crisi. Postmodernismo e neorealismo, nella loro unilateralità, mostrano con chiarezza i limiti che molti di noi avevano messo in evidenza già al momento del loro apparire.

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