Il Male assoluto tra de Sade e Dante per PPP (3a parte)

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sadiano

Il secondo richiamo nel titolo è Le 120 giornate di Sodoma, citazione del romanzo incompiuto del libertino francese marchese de Sade composto nella prigione della Bastiglia nel 1785 e pubblicato, dopo molte peripezie, nella Germania del ’31. L’opera pasoliniana è specchio di quella del marchese; in entrambi quattro signori sposano le rispettive figlie, quattro mezzane istruiscono i giovani alla soddisfazione del piacere, a quattro gruppi di giovani sono applicati regolamenti di lussuria e punizione. I 600 tipo di lussurie elencati da De Sade dovevano demolire, come estremismo del pensiero libertino anticlericale, l’idea post illuministica e preromantica dell’innata bontà umana naturale, presentata da Rousseau nel 1755 con i Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes. Pasolini è sadiano per l’ineluttabile cattiveria umana, tanto proletaria quanto aristocratica e per l’assenza della lotta sociale. In de Sade le perversioni sono organizzate per quadri, come definiti da Barthes. Il Codice sottoscritto dai Signori nell’Antinferno si esplica nello schema dantiano dei gironi delle manie, della merda e del sangue del film corrispondenti ai tre gironi degli omicidi, suicidi e sodomiti del VII cerchio dell’Inferno dantesco, quello dei violenti. Il Codice di dittatura sessuale è spiegato dale Megere nel racconto delle proprie specialità sessuali. Nel girone delle Manie i giovani, nudi a quattro zampe, latranti come cani, devono mangiare polenta riempita di chiodi; in quello della Merda vengono istruiti alla gratitudine per la sodomia, pranzando con le feci (cioccolata dolce con canditi, molto stucchevole); nel girone del Sangue, ballano istericamente facendo sesso con cadaveri tra torture, sevizie, amputazioni e uccisioni perpetrate sulla base del dantesco contrappasso. L’attrice Infascelli rimase disgustata, durissimo girare quelle scene raccapriccianti, trascinarsi a carponi al guinzaglio. L’imbarazzo generale per le nudità totali costringeva la ripetizione anche per tre o quattro volte delle riprese, data l’inesperienza degli attori presi dalla strada che non riuscivano nemmeno a ripetere determinate parti del copione. Il paradosso storicamente più atroce è offerto dalla terribile coincidenza temporale tra il film ed il genocidio cambogiano, il cui avvio è proprio del ’75. Nelle prigioni comuniste cambogiane si consumavano sul serio le torture, le umiliazioni, la scatofagia e gli eccidi fantasticati dal regista. Il pubblico, spesso formato da militanti o simpatizzanti di sinistra, dai comunisti ai movimenti extraparlamentari come i maoisti Servire il popolo ed altri, vibravano di sdegno di fronte alle sevizie ed alle crudeltà imputate allusivamente ai fascisti italiani dell’ultimo scorcio di guerra e non potevano (e forse non volevano) credere che in quegli stessi anni avvenissero realmente per mano dei loro idoli comunisti asiatici, gli eroici resistenti avanguardie della rivoluzione, come definivano nei comunicati e negli appelli, i khmer rossi. Un abbaglio che durò più di un decennio e che per alcuni dura ancora; che coinvolse base e vertice  della sinistra politica e di quella giornalistica, i cui esponenti sono tutt’oggi al top dei nostri massmedia ed istituzioni, con tutt’altre idee e pochi ricordi. Le carriere di chi invece denunciò i massacri già nel ’76, come l’allora direttore di Epoca, Caputo, ebbero un grave momento di arresto e risultarono danneggiate nel tempo.

io non ricordo

Pasolini nel giugno ’75 dichiarò il suo voto per il Partito Comunista (che pure l’aveva espulso nel ‘52) con queste parole. “Oggi sono qui per dirvi che cosa voglio ricordare e sapere. Voto comunista perché ricordo che nella primavera del ‘45, e poi anche quella del ‘46 e del ’47 si poteva vivere la Resistenza. Voto comunista perché ricordo e so che il potere clericale nel ’45, nel ’46 nel ’47 e poi nella primavera del ‘65 e anche quella del ‘66 e del ’67è stato il perfetto proseguimento del potere fascista. La magistratura era la stessa, la polizia era la stessa, i padroni erano gli stessi. Gli uomini al potere erano gli stessi: alla manifesta violenza fascista si aggiungeva ora soltanto l’ipocrisia cattolica. L’ignoranza della Chiesa era la stessa. I preti erano gli stessi. Ricordo e so che poi, senza che nemmeno gli uomini al potere se ne accorgessero, tanta era la loro avidità, tanta era la loro stupidità, tanto era il loro servilismo, il potere è quasi colpo cambiato: non è più stato né fascista né clericale. È diventato ben peggio. Ricordo e so che nel ’65, ‘66, ’67, quando era ormai ben chiaro che avevamo vissuto la Resistenza ma non la liberazione, si poteva vivere una lotta reale per la pace, per il progresso, per la tolleranza. Voto comunista, perché nel momento del voto, non voglio ricordare altro. La natura ci ha dato la facoltà di ricordare (o sapere) e di dimenticare (o non sapere), volontariamente o involontariamente ciò che vogliamo: qualche volta la natura è giusta. Un’altra volta vi dirò — dirò a voi giovani, soprattutto a quelli di diciotto anni, che cosa, nel momento del voto, come in quello della lotta, non voglio ricordare e sapere. Ricordo e so che di colpo si è avverato integralmente intorno a noi e su noi, il genocidio che Marx aveva profetato nel Manifesto: un genocidio però non più colonialistico e parziale: bensì un genocidio come suicidio di un intero paese. Ricordo e so che il quadro umano è cambiato, che le coscienze sono state violate nel profondo. Ricordo e so che, a compensare questa strage umana, non ci sono né ospedali né scuole, né verde né asili per i vecchi e i bambini, né cultura né alcuna dignità possibile. Ricordo e so, anzi, so, semplicemente perché è cosa di oggi, di questo momento, che gli uomini al potere sono legati alla stessa necessità di compiere altri crimini. So dunque che gli uomini al potere continueranno a organizzare altri assassini e altre stragi, e quindi a inventare i sicari fascisti. So inoltre che l’accumulazione dei crimini degli uomini al potere uniti all’imbecillimento della ideologia edonistica del nuovo potere, tende a rendere il paese inerte, incapace di reazioni e di riflessi, come un corpo morto. So che tutto questo e il risultato dello Sviluppo: insostenibile scandalo per chi, per tanti anni, e non retoricamente, ha creduto nel Progresso. Ma infine so che in questo paese c’è un altro paese: il paese rosso dei comunisti. In esso è ignorata la corruzione, la volontà d’ignoranza, il servilismo. La lotta di classe non sembra più contrapporre rivoluzionari e reazionari, ma ormai, quasi uomini appartenenti razze diverse. Voto comunista perché questi uomini diversi riescano cioè a trasformare, come vuole la loro tradizione razionale e scientifica, lo Sviluppo in Progresso.” L’autore sapeva del genocidio cambogiano e dei precedenti genocidi sovietici. Sapeva che partigiani comunisti gli avevano ucciso il fratello nel ’45. Non alludeva alla Shoah quando alludeva al genocidio. Invece, in questo in linea con i sentimenti diffusi tra gli studenti e l’area di sinistra del paese, indicava a Male assoluto il genocidio sociale suicida rappresentato dall’incipiente consumismo; facilitato dall’arretrato e reazionario clericalismo antiliberale ed anti libertario e supportato dal presunto stragismo di Stato e dell’alleato americano un funzione antiprogressista. Lo Sviluppo sarebbe stato veramente Progresso solo in mano al Partito rosso, strutturalmente diverso ed altro rispetto alla competizione dei diversi interessi; questo nuovo partito, cambiato il colore, non sembrava diverso dal vecchio Partito nero già tramontato. In questa visione immaginata della realtà e della storia, gli esempi tragici della repressione delle libertà e della vita, di poco precedenti o addirittura in corso,  non contavano nulla. Anche la base economicista degli interessi di classe, base del pensiero marxista, non sembra contare più nulla, sostituita dalla spaccatura tra buoni e banditi, dove solo la bandiera qualifica la denominazione. Pasolini anticipa l’abbandono progressivo, da parte della sinistra anche dei nostri giorni,  di quello che era stata l’evoluzione del pensiero socialista utopista, rivoluzionario e scientifico per il ritorno a divisioni morali e umorali composite di fazioni, comunità d’ambiente e parentele. Il punto centrale, come dimostrato dalla sua stessa vita, di assoluta libertà  di espressione e di comportamento cui tenevano lui stesso e l’ambiente culturale in cui viveva e di cui si nutriva, appare lontanissimo paradossalmente dal Partito rosso e nero e vicinissimo a quell’anarchia individualista del Potere che tutto può, che aveva voluto raffigurare come altro Male assoluto. In realtà anarchico, Pasolini si incaponiva contro un consumismo che ancora doveva mostrare le sue capacità di sradicamento delle tradizioni e che certamente non era anarchico, anzi completamente legato ai consumatori in una continua reattiva influenza reciproca.

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