L’elezione a europresidentessa dell’avvocatessa maltese Roberta Metsola Tedesco Triccas non è solo uno schiaffo alla calda santità corroborata ed esaltata in carmi e preghiere del suo predecessore. È anche il triplete femminile della triplice d’attacco europeo. Alla tedesca aristocratica Ursula, classe ‘58, alla francese Christine, classe ‘56, ora si aggiunge Roberta, classe ’79, maltese, in altri termini anglosiciliana. Da sud a nord, da ovest al centro, la testa d’ariete è donna. Donna e conservatrice. Donna, conservatrice e di destra. Donna, conservatrice, di destra e non solidale con gli immigrati. E se von Ursula venisse sostituita dalla danese Margrethe, classe ’68, sarebbe pure peggio. Non bisogna farsi irretire dai nomi; la danese, malgrado sia esponente di nome della sinistra radicale, di fatto è un falco liberista di manica stretta e severa, tanto da essersi meritata gli attacchi dei banchieri italiani per eccesso di ricerca in ognidove di aiuti di stato. La Danimarca, d’altronde, tutta di destra e di sinistra, già uscita da Schengen, è uno di quei paesi che ancor prima che gli americani abbandonassero l’Afghanistan, aveva messo le mani avanti, annunciando che non avrebbe ospitato rifugiati da quel paese.
Malta è della stessa pasta, solitamente indicata come primo approdo ai barconi, chiude e indica i premise italiani. Guidata da un laburista, figlio di un ex presidente, è pericolosa per i giornalisti alla Pecorelli come le demoture orientali; ed è tutta, di destra e di sinistra, antiabortista. L’europarlamento però non ha fatto una piega. Gli accordi partitici si rispettano; ed alla prima chiama, ecco ben 458 voti su 690 (618 presenti) ad eleggerla. Mica i 345 su 667 su ripetuta votazione per il povero David, maldigerito. Tutta impettita, l’Europa donnesca avanza con i suoi strani cliché e le continue paturnie che rendono l’ex isola inglese al largo della Trinacria un paradiso democratico, al contrario della sospettata Mitteleuropa, malgrado le nomine ereditarie, i flussi finanziari e l’aberrante stato di corruttela. Sarà che il paese, membro del Commonwealth, è dopo la Brexit l’ultimo rifugio europeo english, membro del Commonwealth, con fino al ’71 come capo di Stato, la regina Elisabetta che solo due anni fa ha venduto la sua villa maltese piena di ricordi antichi di gioventù.
La meridionale Roberta sfata il mito che solo a nord, le donne, dopo la giovinezza, siano persone come le altre; come gli uomini, grosse e vestite male, lavoratrici efficienti, legate alla carriera, anche in politica. A Malta, d’altronde, ci sono già state due politiche presidentesse. Se in Scandinavia e baltico le donne dominano (in testa la Norvegia, seguita dall’Estonia con donne presidente e premier, dalla Finlandia della 34enne premier, la più giovane al mondo e poi da Danimarca, Lituania, Islanda) a sudest in Slovacchia ed in Georgia due donne sono capi di Stato mentre in Serbia la premier è lesbicamente bellica. Al mondo ci sono solo 20 presidentesse ed un 19% di donne premier che in Europa sale al 30%. Belle, giovani contano fra loro anche una figlia di deportata in Siberia. Solo ieri la presidente croata era una fiumana, prima a rimuovere da palazzo il busto di Tito, uno che le donne le adorava; nell’era Merkel c’erano in Uk la May, in Polonia l’ultraconservatrice Szydlo, in Ucraina la Timoshenko. In Francia, Italia, Spagna si aspetta la svolta, anche se il governo di Madrid è in prevalenza femminile (11 a 6 uomini). Da anni la destra francese è donna, tra Marine, Marion e la gollista Valérieanche se ora avanza l’alternativa maghrebina; anche in Italia la destra, almeno nei sondaggi, ha una donna alla sua testa, prima euroconservatrice; quella che Giuli descrive alla punt e mes, un po’ donna Rachele, un po’ valchiria, un po’ ausiliaria, un po’ Evita dalla Garbatella.
In Europa ed in Italia la palla al piede rosa è la donna di sinistra che si chiede perché abbia meno potere di quelle di destra. Una prima risposta è la carenza di aziende ereditate da babbo; una seconda, la mancanza di coraggio nel prendere il comando in famiglia, da coniuge senior, come nel caso Barbara e Francesco. Una terza l’avallo dell’identità tra politica dell’assistenza e dell’accoglienza, che rinforza il lato moralistico delle sinistre, passato indenne nei decenni tra beghine clericofasciste, Merlin e me-too; e che per altro verso crea l’assurdo accostamento delle donne, maggioranza della popolazione, agli ultimi, ai diseredati, al lumpenproletariatstraniero, ai credenti in religioni maschiliste fino al midollo. Con l’assurdo finale di parteggiare per il talebano contro l’americano. Ultima risposta, la suicida visione del potere come un perenne Circeo, tipicamente e maschilmente violento; che diventa difficile da contendere se lo si è tanto schifato. Il successo delle sinistre non può essere l’avvilente numero delle fondazioni intitolate ad un lui cui sia stata aggiunto il nome della moglie. Neanche le lotte per i diversi che poi sono uomini e tolgono altro spazio alle nostre tristi eroine.
Tra chiacchiere e schemi, divorzio e aborto furono successi laici e pannelliani. La libertà femminile ’70 fu la gestione del corpo e la conquista del sesso; con gran felicità dei guardoni Moravia, Lattuada e dei compagni che potevano sempre contare sul principio di non discriminazione (di classe ma anche di bruttezza). Le ragazze di destra, allora semplicemente denominate borghesi, non vollero mai squalificare ed inflazionare né l’impianto valoriale, né il valore corporale. Tra tanti deficit naturali economici, l’ultimo era l’arma definitiva della scalata femminile di ogni tempo, merce per mezzo di merci e mercì per dirla alla Sraffa. Nilde e Mafalda docunt. Vero sostegno ad una donna moderna, autonoma, egoista, libera e selfish, l’individualismo consumatore, pietra angolare del postcapitalismo, non può transigere dalla spinta di ambizione e consumismo della turbina femminile che ispira e guida gusti e comportamenti suoi propri e del gruppo, nella forma familiare preferita. Un fenomeno sempre in crescita anche nel turbocapitalismo digitale che mette in ombra le grigie e sovietiche rimembranze delle femministiche case delle donne, più chiuse delle case chiuse. Nella vicenda sociale, le donne hanno bisogno e richiedono più salute e più igiene, più sicurezza per una vita autonoma e libera, perché nello scontro di strada non saltano come nei games, ma le prendono. Se le loro rappresentanti parteggiano per chi vorrebbe violentarle, qualcosa non torna.
Poco alla volta le donne di sinistra si sono fatte più furbe e schizzinose, come le destre inseguendone con scarsi risultati, i picchi di bellezza, grazia e forme; per poi rivoltarsi inviperite e vomitare insulti sulle contendenti di successo, accusate di improbabili servizi sessuali. Da donna a donna con il più tremendo calembour da caserma. D’altronde in Germania il comico Ehringdiede della troia nazista in tv all’allora Weidelleader del molto destro Afd, vincendo in tribunale sulla querela. Per una questione di stile, si ricordano partigiane fucilate e magari violentate nei campi per bramosia marocchina ma mai rasate, sputate, stuprate in piazza come capitò alle repubblichine. L’eterno femminino a sinistra spesso genera un inspiegabile rabbia facilmente degenerabile in odio fisico. Intanto le sinistre, nel loro riflusso, poco studiato, hanno cominciato ad esaltare le principesse Leila di Star Wars, le Ripley di Alien, le pettorute Tomb Raider, tutte eredi della Ginevra che non faceva un passo senza la lancia del fascista Lancillotto; incredibile dictu, hanno mescolato le Patti Smith e Pravo. Hanno trovato in Eowyn della Terra di Mezzo la cavaliera che mena (quella che nella realtà non esiste), modello dell’identità di genere totale, cioè della maschilizzazione della donna, che viene tanto naturale ai nordici.
Certo le donne di destra italiane hanno il vantaggio della subordinazione del collega maschile, sempre terrorizzato dall’accusa di essere additato come uomo d’ordine, autoritario, nostalgico, senza cuore, nel timore di mostrare paura della globalizzazione e dell’immigrazione. Gli è più facile lasciare che sia lei a tracciare il peana per la tradizione, anche se la contraddizione è fatale. Nei paesi sconfitti, facilmente colpevolizzabili, l’uomo difficilmente parla di vittoria, gloria, nemico, pensando che possa farlo meglio lei, meno facilmente attaccabile come revanscista. Questo aiuta la femminilizzazione dell’informazione e della comunicazione, sia come talk, che come notiziario, il tutto mescolato a show. In un fenomeno comunque globale, i contenuti ne vengono influenzati, ridotti, come mini e scollature, alle sorti dell’orso e del rinoceronte, ai piatti di cucina, ai consigli di vita, ai fake femminicidi, all’onnipresente principio di precauzione, ai casi familiari del dolore, alle sensibilità delle violenze psicologiche, alle proibizioni ed agli stili di vita mentre le questioni estere ed economiche (lasciamo stare quelle militari), soprattutto lato dati, vengono sbrigate con rigida laconicità che non merita ulteriore dibattito. Il trionfo della canottiera di lana e della proibizione dell’acqua gassata, già quasi merce di contrabbando.
Con in mano l’informazione, l’educazione, la giustizia, la sicurezza, la burocrazia, sulla carta il potere è destinato alle donne, anche da noi. Toccherà a loro e a breve, e da destra, anche se preferirebbero ancora per il momento allungare il brodo.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.