Vittorio Sgarbi: Caravaggio a fumetti. Con l’arte di Milo Manara

Cultura e spettacolo

Il disegnatore sceglie di far coincidere la verità della pittura con quella della vita del Merisi

Era inevitabile. Non so se sia toccato a Raffaello o a Michelangelo, ma a Caravaggio doveva toccare. Trasferire storie, studi, dipinti, in un racconto a fumetti. Un artista e narratore popolare che illustra vita e opere di un artista dimenticato per secoli e diventato improvvisamente popolare oltre ogni limite. Si è assunto questa responsabilità Milo Manara, avvezzo a grandi prove, e mosso da grande passione. L’aveva mostrata per Fellini, illustrando il Viaggio a Tulum e Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet. Secondo Francesco Piccolo, «Manara ha disegnato quello che era rimasto nella testa di Fellini, e lo ha innestato perfettamente nel proprio mondo; perché ci sono artisti che, qualsiasi cosa facciano, la rendono inconfondibilmente loro».

E ora, affrontando questa nuova e difficile impresa su Caravaggio in una «artist edition» parte dalla conoscenza: infatti il bel libro, timidamente e nitidamente editato da Panini, presenta una essenziale ma compulsata bibliografia nella quale non mancano testi fondamentali come quelli di Longhi, Marini, Moir, Cappelletti, Schutz, Sciberras e, bontà loro, uno mio, perché l’avventura si fondi sulla storia accertata: Verum ipsum factum, con un occhio all’altro grande lombardo, Alessandro Manzoni. Il romanzo (storico) è un lavoro di immaginazione e un’opera poetica e «verosimile», ma il primo compito della storia è prendere le conoscenze più possibili dei fatti (storici), cioè il «vero». Da lì parte, con la sua libera e innamorata fantasia, Manara, e ci fa entrare in un mondo di avventure dove ogni episodio è documentato sui fatti, ma il pittore è un eroe che si batte per la giustizia e la dignità degli uomini e delle donne. Vero è che, in assenza di dati privati certi, Manara lascia libero campo alla fantasia nell’allargare «verosimilmente» lo spazio del mondo femminile, che accende la fantasia e il desiderio, oltre che l’ispirazione, di Caravaggio.

È di per sé, aldilà dei riscontri critici, una intuizione psicologica favorita da una lettura erotica dell’opera di Caravaggio. Quelle modelle erano donne, e tanto sono vive, nella pittura (pensiamo alla Santa Caterina del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, alla Madonna dei pellegrini, alla Maddalena, alla Giuditta, alle umanissime madonne delle Adorazioni), quanto nel rapporto, certo non neutrale, con Caravaggio. È una scelta, anche estetica, oltre che narrativa, felice di Manara che, amando soverchiamente le donne (come Fellini), ci fa capire che solo la passione erotica poteva consentire espressioni così intense e seducenti, escludendo (anche se la bellezza dell’angelo nel Riposo durante la fuga in Egitto Doria Pamphilij e la guapaggine dell’impunito Amore vincitore di Berlino, identico al Pino Pelosi di Pasolini, lo suggeriscono) qualunque attrazione o inclinazione omosessuale di Caravaggio, così favorite dai nostri tempi.

Manara fa coincidere la verità della pittura con la verità della vita, in una sola grandezza, non in un chiaroscuro di bene e male alla Marziale («Lasciva est nobis pagina, vita proba», nel caso rovesciata): l’opera e la vita sono la stessa cosa, compreso il senso di colpa che si proietta sulle opere degli ultimi quattro anni, dopo la sfida della Morte della Vergine e l’assassinio di Ranuccio Tommassoni. E proprio qui si vede quanto parteggia Manara: perché, ben prima del fatidico e mortale duello, mette in scena il prepotente rivale fin dai primi episodi della vita di Caravaggio a Roma, con contrasti tra la nobiltà del Nostro e la meschina arroganza del Tommasoni. Caravaggio come non sbaglia nell’opera così non sbaglia nella vita. Il Caravaggio di Manara è tanto bravo quanto buono. Il suo maledettismo è passivo. È Renzo, non don Rodrigo. È idealista, galante, combatte per una (impossibile) giustizia. E la sua pittura lo conferma.

Impressionante, nel concitato racconto, è la religiosa ammirazione per le opere di Caravaggio che escono dal fumetto e ci sono mostrate come sono, con fedeli fotografie che interrompono la coerenza formale del racconto per imporci di osservarle nella loro realtà pittorica (notevole il particolare, da una versione altissima, della Maddalena in estasi). Quasi una intera pagina chiede la Decollazione di San Giovanni Battista di Malta; dettagli insostituibili con il disegno mosso di Manara chiede l’assoluto Davide e Golia, con il terribile autoritratto di Caravaggio nel personaggio del cattivo. Sono soglie che Manara non vuole superare: Caravaggio parla da solo.

Notevole invece, oltre alla posizione partigiana, la suggestione che questa esperienza deve avere avuto nella rielaborazione delle fonti, soprattutto non caravaggesche. Nella ricostruzione degli ambienti e nella definizione dei personaggi Manara cita pittori di ambito caravaggesco e non: Velázquez, i Bamboccianti, Mattia Preti, Codazzi, Antonio Carneo, Piranesi, Giacomo Ceruti. La pittura accende la sua fantasia assimilandosi al fumetto, come accade anche quando alla reverenza succede la, sempre umile, competizione. Ecco allora il confronto fra la Giuditta e Oloferne di Caravaggio e la derivazione di Manara, che si misura anche con le storie di Matteo in San Luigi dei Francesi, con la Morte della Vergine, le Sette opere di misericordia, la Flagellazione, e finanche i dipinti siciliani, fra cui l’abissale Seppellimento di Santa Lucia, la cui cupa violenza è irriproducibile, e, come forse saprà Manara, io ho accostato ai dolenti sacchi e ferri di Burri.

Ormai Caravaggio precipita verso la morte e, dopo la bella intuizione del viraggio notturno dei giorni della fuga da Roma, dopo l’«incidente» fatale col Tommasoni, e l’intuizione, altrettanto serotina, della bellissima sequenza monocroma dell’orgasmo della donna che traguarda nell’Estasi della Maddalena, formalmente perfetta (con la formula verosimile, attribuita a Caravaggio: «l’estasi è sempre l’estasi, non importa il motivo»), il monocromo torna nelle ultime tavole, nell’uno/due, giallo e azzurro, della disperazione di Caravaggio quando vede a Porto Palo il galeone partire con i suoi ultimi quadri, e l’apparizione di una donna, nella luce di un nuovo giorno, che vede il corpo morto del pittore galleggiare tra la spiaggia e il mare. Nella sua bellezza e nel suo gesto di dolore c’è l’unica consolazione: l’opera di Caravaggio vive. Oggi, anche grazie a Milo Manara.

Vittorio Sgarbi (Il Giornale.it)

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