Tra sparate, idiozie e chiacchiere da bar il disastro del Movimento 5 Stelle

Attualità

C’erano una volta i “grillini”? La domanda periodicamente è d’obbligo. Esiste addirittura un verso di Bertolt Brecht idoneo a descrivere il destino procelloso del Movimento 5 stelle: «Di queste città, resterà il vento che le attraversa». Se non proprio a una città, il M5s assomigliava, sia nei giorni del suo esordio sia in assoluto, a un plastico: ferroviario o piuttosto destinato a ricostruire una grande battaglia, di quelle che si concludono magari con cocente sconfitta. Un plastico in scala N, la più piccola, davvero troppo infatti pretendere la scala H0 per un’operazione espressamente artigianale. E questa, volendo, può essere perfino letta come una metafora della debolezza nelle lunghe distanze della politica improvvisata.

Suo capo-modellista, o magari capovaro, sempre agli esordi, era Beppe Grillo, attore, agitatore mediatico planato infine sul web dopo un’iniziale riluttanza verso gli stessi aggeggi informatici. Lui al centro del plastico: su un canotto da diportista domenicale, trascinato come sovrano sugli scudi da una marea umana festante, lì a colmare idealmente l’intera piazza d’Italia, a suggello del consenso montante, in attesa di mostrarsi vittoriosi nelle urne elettorali. E tutto ciò proprio grazie a un notevole uso del baracchino della rete. Tra appelli alla democrazia diretta, sorta di remake del “riprendiamoci la città”, slogan appartenuto ad altri e adesso perfetto per indicare un nuovo corso politico rigenerante, forse anche casual, post-ideologico, inclusivo d’ogni opzione subculturale.

Accanto a Grillo, nel medesimo plastico, altrettanto in scala N, nel tempo dell’inizio, un signore con aria da scienziato, Gian Roberto Casaleggio, e qui, come nei cieli di stagnola stellata pronto dei presepi casalinghi, c’era subito modo di cogliere suggestioni fantascientifiche da albo “Urania”. Tuttavia, a dispetto di ogni possibile sarcasmo, quel movimento techno-artigianale, a dispetto delle scie chimiche ventilate da alcuni, quel plastico risultò convincente a un ampio elettorato che guardava ormai la politica dall’alto del disincanto, gli sembrò appunto che potesse riassumere molte sue pulsioni, gli calzava bene, come una comoda salopette, come già Grillo al tempo degli esordi in Rai. Accade perfino che un signore convinto che la politica la sapesse fare soltanto lui, già dirigente di un partito di massa, sfidò il geometra capo del plastico, invitandolo a presentare proprie liste.

Mal gliene incolse, poiché, terminato lo spoglio elettorale, il plastico prese a popolarsi sempre nuovi “cittadini” convinti che, appunto, quel diorama innalzato da un comico rappresentasse una dono nello scenario complessivo della politica, ed effettivamente i Convinti non avevano torto, al netto del magma antropologico che c’era modo di reperire dentro il plastico: fascisti dal sempre caro “Boia chi molla!“ e “Duce tu sei la luce”, come sulle piastrelle acquistate a San Marino, e perfino altri con ancora addosso l’eskimo da “compagni”. Per un po’ di anni insomma il plastico apparve a molti convincente, addirittura catartico, e va detto a onor del vero che al Movimento 5 Stelle va riconosciuto d’avere dato ad alcuni individui destinati altrimenti all’anonimato rionale, simposio da Punto Snai, la possibilità di conoscere il “Palazzo” da vicino. Adesso qualcuno potrà obiettare che, così facendo, addio competenze, ma si tratta comunque di un’obiezione secondaria, visto il modo in cui viene cooptato ovunque il personale politico.

Arriverà persino l’occasione del governo, e come già altri da Palazzo Venezia, perfino nel nostro plastico figurerà un “balconcino”, pertinenza di Palazzo Chigi, da lassù addirittura uno dei suoi principali modellisti, Luigi Di Maio, vorrà affacciarsi per dichiarare “abolita la povertà”. Chissà come, sempre in occasione dell’allestimento del plastico governativo, i grillini dovettero cercare un signore in blazer, un nuovo omino, sempre in scala N, da piazzare con altrettanta convinzione nel proprio diorama, lo trovarono in un garbato professionista del Foro, Giuseppe Conte, succedaneo dell’avvocato Antonio Pandiscia, già compianto biografo di Padre Pio, così il plastico prese a mostrarsi con nuovi personaggi in cerca di ulteriore definizione.

Ogni tanto nel medesimo luogo, come l’angelo di plastica legato al soffitto con filo di nylon per penzolare dall’alto nei presepi, ricompariva Beppe Grillo, per poi sparire d’improvviso, oberato da questioni esterne all’attività politica, difficoltà giudiziarie riguardanti la prole o chissà cos’altro. Nel tempo, il dubbio che si trattasse di una comitiva di “scappati di casa” (cit.) si affacciava nella mente dei più critici, così rispetto all’improvvisazione creativa, eppure non si può dire che gli altri plastici contigui potessero definirsi migliori e dunque più attendibili. Alla fine, l’immagine del plastico, del presepe occasionale sembrò essere la più convincente per riassumere la parabola di un flusso politico-emozionale che, salvo imprevisti, sembra destinato a trovare un destino simile a ciò che accadde al Fronte che mostrava un omino sotto un torchietto, così un tempo.

Che ne sarà di Di Maio, che pure ha studiato ed è cresciuto, cui Mimmo De Masi, consulente del Movimento, suggerì, inascoltato, d’andare a Cambridge a studiare per poi ricomparire per la prossima tornata? E Roberto Fico, anche lui avrà un futuro? In quali nuovi plastici di ulteriori battaglie o presepe del tempo ulteriore li ritroveremo? E Di Battista, e la Raggi, sarà vero che sono in procinto di farsi un plastico tutto per loro?

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